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Vangelo e riflessione

«Perché ti ho detto che ti avevo visto sotto il fico, credi?» | Vangelo del giorno, 8 settembre

By 4 Settembre, 2024No Comments
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Vangelo secondo San Marco 7,31-37

In quel tempo, Gesù, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidòne, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli. Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!». E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente. E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!».

«Perché ti ho detto che ti avevo visto sotto il fico, credi?».

Luis CASASUS Presidente delle Missionarie e dei Missionari Identes

Roma, 8 settembre 2024 | XXIII Domenica del Tempo Ordinario

Isaia 35, 4-7; Giacomo 2,1-5; Marco 7, 31-37

Nella vita di ognuno di noi succedono cose che consideriamo straordinarie ed inaspettate. Il titolo di questa riflessione sono le parole di Natanaele, quando si meraviglia nel sapere che Gesù l’aveva visto riposando sotto un albero prima che si incontrassero. A volte chiamiamo “miracoli” questi eventi ed in altre occasioni non diamo loro importanza, non li contempliamo con attenzione, forse perché la nostra sensibilità è come assopita.

Per comprendere questo, è utile ricordare un aneddoto del genio francese Blaise Pascal (1623-1662).

Un giorno aveva un appuntamento con un amico in un castello situato in alto su una collina. Passò un po’ di tempo mentre aspettava il suo amico; poi questi arrivò col viso deformato, i vestiti stracciati ed il corpo pieno di contusioni e ferite.

Che cosa ti è successo? domandò Pascal.

Non puoi immaginare il miracolo che Dio ha appena fatto per me! rispose il suo amico. Quando stavo venendo qui, il mio cavallo è caduto vicino ad un pendio. Anche io sono caduto e sono rotolato giù, ma mi sono fermato giusto prima del precipizio. Te lo immagini? Che miracolo ha fatto il Signore per me! 

Al che  Pascal, tranquillamente, rispose: E che miracolo ha fatto il Signore per me, quando sono venuto, non sono nemmeno caduto da cavallo!

Il testo evangelico di oggi presenta un caso dove il miracolo produce ammirazione, gratitudine ed un cambiamento nella vita della persona che beneficia del prodigio di una guarigione inimmaginabile.

Ma continuamente avvengono autentici miracoli, fatti spettacolari o quasi segreti, ma difficili da spiegare che meritano la nostra attenzione.

Per esempio, succede così nel campo delle scienze. Meno di 30 anni fa, i biologi si resero conto che il corpo umano assomiglia… ad uno zoo: Il numero di batteri nel nostro corpo è superiore al numero di cellule “umane” che raggiunge valori di miliardi. E, tuttavia, conviviamo con quegli ospiti, quasi sempre in armonia e beneficio mutuo, fino a che in certe occasioni succede qualche squilibrio e cominciano i problemi, a volte fatali. Si potrebbe dire, senza esagerare, che la vita della persona è un autentico miracolo in forma di delicato equilibrio.

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Se guardiamo alla nostra relazione con le Persone Divine, ci succede quello che disse lo scrittore brasiliano João Guimarães Rosa: Quando non succede niente, avviene un miracolo di cui non ci rendiamo conto. 

Nel Primo libro dei Re si racconta la storia della grande siccità che soffrì il paese. Quando Dio inviò ad Elia la conferma che finalmente sarebbe arrivata la pioggia, Elia chiese al suo domestico di guardare verso il mare per vedere se pioveva, e sei volte il domestico ritornò informando il profeta che in quella direzione non succedeva niente.

La settima volta, il domestico ritornò dicendo che c’era una nuvola nel cielo, ma così piccola che era come la mano di un uomo. Ma proprio quella piccola nuvola annunciava l’arrivo di una grande pioggia che avrebbe messo fine a tutta la siccità. Una nuvola, che era così piccola che il domestico non la prese in considerazione, e che invece fu la responsabile di portare al popolo la promessa di un tempo nuovo: la fine della siccità.

Sono autentici segni profetici che vanno uniti al miracolo. Nella storia di Elia che abbiamo appena ricordato, quella piccola nuvola racchiudeva un messaggio prodigioso, la fine di una lunga punizione che Israele aveva ricevuto a causa della sua idolatria e del suo peccato. Se sono fedele, se non lascio perdere la piccola occasione di fare ora il bene, senza giudicare, né fermarmi a contemplare i difetti del prossimo, senza dubbio sto collaborando ad un miracolo. È quello che successe a colui che avvicinò il sordomuto a Cristo, è quello che avvenne anche a Marta e Maria, quando chiamarono Gesù affinché lo curasse. La risposta di Gesù può sembrarmi lenta, strana o perfino – nel mio audace orgoglio – inappropriata, ma non posso dimenticare che, pur sorprendente che sia, Egli NON DESIDERA agire senza di me.

La cecità, la sordità, la paralisi, il mutismo… sono malattie che, nella Bibbia, rappresentano metaforicamente, soprattutto, l’incapacità ad accogliere la parola di Dio  e a proclamarla. Di fatto, la guarigione di oggi è quella di un pagano, un abitante della Decapoli, per cui  è ancora più chiaro quello che Cristo ci vuole trasmettere.

D’altra parte, la persona sordomuta ha una grande difficoltà per convivere, solo con grande difficoltà è capace di uscire dallo stretto mondo nel quale la sua menomazione lo rinchiude. Per questo, il miracolo di oggi ha un profondo senso antropologico, perché ci fa comprendere che non è possibile a nessuno una vita piena, una relazione completa col prossimo e con Dio, se non permettiamo e favoriamo che conosca Cristo, prima come uomo e poi, necessariamente, come Figlio di Dio.

Se la guarigione di questo sordomuto lo riempie di allegria che possiamo dire di noi, quando miracolosamente la Provvidenza ci permette di ascoltare la sua voce, conoscere le sue intenzioni, vedere il prossimo passo che dobbiamo dare? Ci sono tante persone di buona volontà che si sentono perse, scoraggiate e stanche… e misteriosamente siamo noi gli invitati alla cena del Signore.

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La Seconda Lettura ci parla anche della sordità che abbiamo rispetto al dolore umano. Forse la colpa non è nostra, ma dobbiamo riconoscere la nostra malattia, la nostra limitazione, e supplicare che la nostra sensibilità cresca, come quella di una persona che cura un malato e finisce per indovinare quello che gli succede soltanto guardandolo o ascoltando il tono della sua voce.

Siamo sordi e ciechi quando non vediamo nel nervosismo di un fratello o una sorella, la sua necessità di chiarire qualcosa, un segno di stanchezza, di esaurimento. Sono sordo e cieco se, con mille scuse, mi rifiuto di parlare con certi fratelli, e neppure li saluto, abbassando lo sguardo alla loro presenza.

San Giacomo non si riferisce solo alla discriminazione per la posizione sociale, ma anche al favoritismo che tu ed io possiamo avere, a volte in modo incosciente, perché ci risulta più semplice parlare o convivere con certe persone e ci impressionano le carenze e le ottusità di altre, come ci spiega oggi San Giacomo nella sua Epistola parlando del “povero straccione” che arriva all’assemblea. La povertà, di cui parla la Bibbia, non è solo la mancanza di denaro, non dimentichiamolo! La sua conclusione è: Forse che Dio non ha scelto i poveri del mondo per farli ricchi nella fede ed eredi del regno che ha promesso a quelli che lo amano?  

Questa Seconda Lettura rafforza il messaggio del testo evangelico, confermando che la Parola di Dio è destinata a tutti e produce effetto in tutti, per molto che le resistiamo e siamo ottusi. Prima o poi, come enfaticamente annuncia la Prima Lettura, ci trascina, delicatamente o con violenza, alla presenza delle Persone Divine.

Quando si chiede ad una persona consacrata che condivida il momento in cui sentì la sua vocazione, può raccontare qualche momento speciale, altre volte si riferisce a “qualcosa che crebbe” nel suo interno, o alla testimonianza che ricevette da qualcuno, o alla necessità che vedeva intorno a sé… ma tutti concordano sul fatto che, in fondo, si tratta di qualcosa di inspiegabile, a cui si può applicare il nome di miracolo. Ancor più, la perseveranza risulta ancora più sorprendente e prodigiosa, perché non è la stessa cosa commettere peccati quando non si conosce Cristo che essere infedeli dopo essere stato chiamato da Lui.

Maria, la Madre di Dio, ci dà l’esempio perfetto di come agire quando siamo coscienti di essere stati beneficati con un miracolo: condivide il suo stato di gratitudine con tutti, in modo poetico, nel suo caso col Magnificat; e si mette immediatamente in moto, usando la fortezza che ha ricevuto per aiutare chi ha vicino. Questa gratitudine si basa sulla consapevolezza di essere stati scelti, che Dio mi tratta in modo personale ed unico, come fa col sordomuto della Decapoli, allontanandolo dalla moltitudine. 

Chi avvicinò questo sordomuto a Gesù? Non lo sappiamo. Ma senza dubbio, quel gesto gli diede l’allegria che avrebbe segnato non solo la sua vita, ma anche la sua eternità. Questo ci insegna come possiamo essere cooperatori nei miracoli, anche se non ce lo siamo proposto. Dio ci offre piccoli segni, affinché siamo fedeli ad essi.

La persona che rese possibile il miracolo ci insegna che la nostra preoccupazione per un fratello, per una sorella, non trova soluzione nella nostra esperienza, sagacità o buona intenzione. L’unica possibilità di un’autentica cura sta nelle mani di Cristo. Benché, a volte, siamo felicemente capaci di contribuire al sollievo di alcuni mali, di certe limitazioni, nulla è sufficiente se non siamo capaci di trasmettere il messaggio della Prima Lettura: «Coraggio! Non temete; ecco il vostro Dio, giunge la vendetta, la ricompensa divina. Egli viene a salvarvi». Cristo ci dà un esempio di fede ed umiltà, elevando i suoi occhi al cielo, per fare vedere che il nostro Padre Celestiale è la nostra origine ed il nostro destino e, inoltre, che niente possiamo fare senza metterci sotto il suo sguardo. Prima di cercare di aiutare nostro fratello, dobbiamo elevare i nostri occhi a Dio, sia che ci sentiamo impotenti, sia che ci crediamo capaci di fare un bene.

Cristo non fa miracoli per un semplice senso di pena; chi si vede avvolto da un miracolo, soprattutto il miracolo di essere perdonato, sente gratitudine, ma acquisisce anche un debito che è piacevolmente disposto a pagare, come successe ai testimoni della guarigione del sordomuto. Certamente non seguirono una strategia apostolica adeguata, anzi forse fecero qualcosa che intralciava i desideri di Cristo, ma trasmisero la cosa essenziale: Gesù fa tutto bene. È la stessa cosa che la Genesi dice parlando della Creazione. Senza dubbio, non potevano esser sicuri che fosse “il Figlio di Dio”, ma proclamarono la cosa fondamentale: Possiamo fidarci di questo Maestro.  

Noi, cominciando dal Battesimo, abbiamo ricevuto la vista e l’udito per camminare in questo mondo pieno di rumori e illusioni, dai quali non possiamo curarci, né liberarci da soli. Come dice  Papa Francesco:

È precisamente il cuore, cioè, il nucleo profondo della persona, quello che Gesù è venuto ad aprire, a liberare, per renderci capaci di vivere pienamente la nostra relazione con Dio e con gli altri (9 Set 2018).

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Nei Sacri Cuori di Gesù, Maria e Giuseppe,

Luis Casasus

Presidente