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Vangelo e riflessione

Viene a noi il tuo Regno | Vangelo del giorno, 8 dicembre

By 4 Dicembre, 2024Dicembre 7th, 2024No Comments


Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Luca 3,1-6:

Nell’anno decimoquinto dell’impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetrarca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetrarca dell’Iturèa e della Traconìtide, e Lisània tetrarca dell’Abilène,
sotto i sommi sacerdoti Anna e Caifa, la parola di Dio scese su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto.
Ed egli percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati,
com’è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaia: Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!
Ogni burrone sia riempito, ogni monte e ogni colle sia abbassato; i passi tortuosi siano diritti; i luoghi impervi spianati.
Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!

Viene a noi il tuo Regno

Luis CASASUS Presidente delle Missionarie e dei Missionari Identes

Roma, 8 dicembre 2024 | Domenica II di Avvento

Baruc 5, 1-9; Filippesi 1, 4-6.8-11; Luca 3, 1-6

L’inizio del Vangelo di oggi è estremamente dettagliato, dando alcuni dati precisi che confermano non solo la realtà storica di quello che è successo, ma anche la forma di come la Provvidenza sceglie un momento inaspettato, un luogo qualunque per entrare nella storia dell’essere umano, ma anche nella nostra storia personale. Questo è successo nella vita di Giovanni – figlio di Zaccaria – che viveva nel deserto. Lo chiamò affinché predicasse sulle rive del Giordano e compisse la missione che Isaia aveva annunciato:

«Nel deserto preparate la via al Signore, appianate nella steppa la strada per il nostro Dio. Ogni valle sia colmata, ogni monte e colle siano abbassati; il terreno accidentato si trasformi in piano e quello scosceso in pianura. Allora si rivelerà la gloria del Signore e ogni uomo la vedrà, poiché la bocca del Signore ha parlato». (Isaia 40,3-5).

Ma non era un messaggio che invitava solamente a non peccare. Nella tradizione biblica, le strade storte rappresentano le decisioni grossolane, le azioni insensate che sono la conseguenza di non aver tenuto lo sguardo fisso su Yahvè. Le valli e le montagne rappresentano le difficoltà morali e di carattere che ci sembrano impossibili da superare. Sono quelle che ci portano ad occultare, a dissimulare le mancanze e gli equivoci, a giustificarci… perfino, in maniera incosciente, se non siamo capaci di identificarle, di distinguerle con chiarezza, anche se, a volte, tutti quelli che ci circondano le vedono chiaramente.

Questo successe  ad un ladro poco professionale, come racconta la seguente storia:

Un eremita era in orazione, quando un ladro entrò nella sua grotta, armato di una spada. Gli ordinò di dargli tutto quello che aveva e l’eremita indicò un vaso con un po’ di denaro che conservava per comprare il cibo. Gli chiese di lasciargli due monete per pagare le imposte. E il ladro fece così e, quando stava per andare, l’eremita gli disse: Non hai ringraziato. Il malvivente lo guardò, quasi vergognandosi, e gli disse: Grazie! E se ne andò correndo.

Quando la gente del villaggio venne a sapere l’accaduto, domandò all’eremita come fosse il ladro. Ed egli rispose: Era un uomo gentile, ma un po’ maleducato, troppo timido e un pò maldestro con la spada. 

Il compito al quale San Giovanni c’invita, sembra (… ed è), molto superiore alle nostre forze, ma i conoscitori della Bibbia ci ricordano che il testo citato di Isaia si riferisce ad una missione che è chiamata “il regno dei cieli”, alla quale partecipano, attivamente ed in comunione, Dio stesso e l’uomo.

In effetti, sarà la Provvidenza che appianerà le montagne e riempirà le valli di cose imprevedibili, per aiutarci a vedere “la salvezza di Dio“. Questa salvezza non sarà visibile solo all’arrivo finale di Cristo, ma anche nella nostra intima esperienza di libertà. Al versetto 7, che non è compreso nella Seconda Lettura, San Paolo ringrazia per il privilegio (la grazia) che significa nella sua vita la prigione, in modo che, come San Giovanni Battista, sapeva che la libertà di Cristo si assapora pienamente in mezzo alle difficoltà, nel suo caso, comprovando come la comunità di Filippo faceva progressi nella diffusione dello spirito evangelico.

In maniera sorprendente, Giovanni comprese la natura sacrificale della vita di Cristo quando chiamò Gesù “Agnello di Dio“. Giovanni era un uomo distaccato da sé, libero dalla paura dell’opinione degli altri, libero per rivolgere tutte le sue energie a ciò che veniva ad annunciare, libero per consacrarsi a Dio e disposto ad offrire la sua vita in ogni decisione e a finire in prigione e giustiziato, in un apparente fallimento della sua missione.

La gente comprese intimamente, senza necessità di profonde lezioni e spiegazioni dottrinali, quello che il Battista voleva trasmettere. In effetti, la sua parola e la sua vita si caratterizzano per un’unità impeccabile, centrata in Cristo. Questo spiega perché Gesù lo chiamò “il più grande tra i nati di donna”. La perfezione cristiana non sta nella quantità di buone opere che possiamo fare, ma nel realizzarle veramente in nome di Cristo; si tratta che le nostre umili azioni siano tanto distaccate dal nostro ego, che servano per indirizzare a Lui. Il gesto di San Giovanni è tanto pratico quanto simbolico: Non  guardate me, ma guardate Lui.

A ragione, oggi il testo evangelico termina così: E tutta l’umanità vedrà la salvezza di Dio. La testimonianza di Giovanni, e di coloro che vivono come lui, arriva a tutti, credenti e scettici, a quelli che si credono saggi e forti e a quelli che confessano la loro debolezza e mediocrità.

Lo storiografo del secolo I Giuseppe Flavio scrisse: Tutto il paese si accalcava intorno a lui ed era in attesa di ogni sua parola. Erode temeva che utilizzasse la sua influenza sugli uomini per incitarli alla ribellione. Ai suoi occhi, sembravano disposti a tutto se solo Giovanni avesse pronunciato la parola.  

Certamente, la sua testimonianza commuoveva i semplici ed i disonesti.

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Allo stesso modo in cui Dio scelse un uomo “della periferia”, qualcuno che viveva nel deserto di una regione secondaria del potente impero romano, così continua facendo con noi, mostrando la sua presenza nelle persone e nei momenti che meno avremmo potuto supporre.

Per questo, la Chiesa approfitta di questo tempo per ricordarci il valore della confessione, ma nel senso pieno di questa parola. Confessione sacramentale dei peccati, confessione delle nostre debolezze e timori al nostro direttore spirituale, confessione sincera, in ogni momento, della nostra piccolezza. L’atto di confessarci davanti a Dio illumina la nostra vera identità, ci permette di essere attenti ai segni che la Provvidenza destina accuratamente per ognuno di noi. Senza quei segni, senza quelle piccole luci che vediamo ogni giorno, come potremmo credere nell’arrivo trionfale e finale di Gesù Cristo? Non dimentichiamo che è attraverso la confessione che i sentieri storti diventano retti e le montagne del nostro orgoglio sono spianate.

Certamente, l’appello di Giovanni va più in là ed è più profondo di uno stile di vita di moderazione: chiama alla conversione interiore, basata sul riconoscimento e la confessione del nostro peccato. Mentre ci prepariamo per il Natale, è importante che torniamo ad entrare in noi stessi e facciamo un esame sincero della nostra vita.

Il pentimento autentico, che Giovanni proclama, si concretizza in termini pratici: condividere coi bisognosi, eliminare la corruzione e vietare l’estorsione Non si tratta di accettare certe credenze, bensì, sempre in una forma compassionevole, di guardare ed occuparsi degli altri. Come sempre, i bambini sono un esempio di generosità:

Un missionario parlava in una scuola cattolica ad alcuni bambini di un programma di aiuto cattolico ai più poveri della terra.  Un bambino di circa dieci anni alzò la mano ed insistette per poter dire qualcosa.  Aveva saputo tramite internet che ogni minuto un bambino in Africa muore di malaria. Aveva anche saputo che esisteva una campagna per donare zanzariere trattate per proteggersi dalle zanzare che trasmettono la malattia e pungono di notte. Disse ai suoi genitori che, con i soldi che avevano pensato di spendere per i suoi regali di Natale, voleva aiutare ad acquistare le zanzariere per i bambini dell’Africa. Calcolò che aveva salvato la vita di dodici bambini, dodici bambini che non avrebbe mai conosciuto, dodici bambini che mai avrebbero potuto ringraziarlo.

Quel bambino decise che le cose non devono essere sempre uguali. Dovette ripensare a come erano sempre state le cose e cambiare se stesso. Non aveva bisogno di ricevere regali per poter aiutare altri bambini ad avere un’opportunità nella vita.  Poteva cambiare un po’ il mondo cambiando sé stesso, il suo modo di pensare e le sue azioni. Allora il Natale non era più solo quello che avrebbe ricevuto, ma piuttosto quello che avrebbe potuto dare.

E tutto l’annuncio del regno dei cieli comincia nel deserto, un luogo pieno di ricordi e di profonde risonanze emozionali per gli israeliti. Nel deserto avevano imparato molte lezioni: avevano imparato a distaccarsi da tutte le cose superflue perché sono un peso non necessario da portare lungo il cammino; avevano imparato ad essere compassionevoli e a condividere i loro beni coi fratelli; avevano imparato, soprattutto, a confidare in Dio.

Il tempo di Avvento sarà sempre un rinnovamento del nostro proposito di un’orazione continua, un invito ad allontanarci dai poteri di questo mondo che continuamente cercano di dominarci. Poteri che non sono sempre intrinsecamente cattivi, ma che assorbono tutta la nostra attenzione, tutte le nostre energie. Per questo motivo, si ripete in questi giorni quello che dicono i Salmi: Fammi conoscere, Signore, le tue vie, insegnami i tuoi sentieri, Guidami nella tua verità e istruiscimi, perché sei tu il Dio della mia salvezza, in te ho sempre sperato. (Salmo 24 (25), 4-5).

Non contempliamo in modo superficiale il rito di accendere la seconda candela di Avvento; in alcuni luoghi è chiamata il “Cero di Betlemme”, significa un aumento della luce da tenere in questa visione intima ed esterna della presenza divina.

Quando Yahvé si manifestò al Battista, erano tempi complicati. Tutti sentiamo dire che questo momento dell’umanità è particolarmente difficile, e ci riempie di timore quello che attende i paesi, le generazioni giovani e le persone deboli, come gli anziani. Ma, niente è cambiato. Quello che Dio fece ai tempi di San Giovanni, continua a farlo ora.

Per questo motivo, non c’è ragione di scoraggiarsi. Così come San Paolo considerò la sua prigione come un privilegio, vediamo con occhi nuovi le nostre poche forze, la nostra possibilità certa di rendere retti i sentieri storti, tanto dentro di noi come nella vita del prossimo che in tanti modi manifesta una sete di pace che il mondo non può appagare. Abbiamo la grazia di poter fare in noi quello che Baruc ci dice nella Prima Lettura: Cambiare i nostri vestiti di dolore con altri di autentica allegria.

Questa seconda domenica di Avvento c’invita ad un’attesa che accelera la realizzazione del regno di Dio tra noi. Come Maria, che su invito di Dio si lanciò verso l’ignoto, anche noi siamo chiamati a credere così fermamente nella pienezza del Regno dei cieli, che non dubiteremo di essere fedeli nelle cose piccole, né di rischiare tutto quello che sia necessario affinché si faccia realtà.

La nostra orazione  giornaliera è semplice e diretta: Venga a noi il tuo regno, sia fatta  la tua volontà. 

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Nei Sacri Cuori di Gesù, Maria e Giuseppe,

Luis Casasus

Presidente