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Vangelo e riflessione

Verso l’altra sponda | Vangelo del giorno, 23 giugno

By 19 Giugno, 2024No Comments


Vangelo secondo San Marco 4,35-41:

In quel giorno, venuta la sera, Gesù disse ai suoi discepoli: «Passiamo all’altra riva». E, congedata la folla, lo presero con sé, così com’era, nella barca. C’erano anche altre barche con lui. Ci fu una grande tempesta di vento e le onde si rovesciavano nella barca, tanto che ormai era piena. Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: «Maestro, non t’importa che siamo perduti?». Si destò, minacciò il vento e disse al mare: «Taci, calmati!». Il vento cessò e ci fu grande bonaccia. Poi disse loro: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?». E furono presi da grande timore e si dicevano l’un l’altro: «Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?».

Verso l’altra sponda

p. Luis CASASUS Presidente delle Missionarie e dei Missionari Identes
Roma, 23 giugno 2024 | XII Domenica del Tempo Ordinario

Giobbe 38, 1.8-11; 2Corinzi 5, 14-17; Marco 4, 35-41

Le tempeste come quella di cui oggi parla il Vangelo non erano quotidiane, però abbastanza frequenti. Il lago di Galilea era famoso per i suoi temporali. Sorgevano letteralmente dal niente, con un’asprezza terrificante. Uno scrittore le descrive così:
Anche quando il cielo è perfettamente sereno, non è raro vedere terribili burrasche lanciarsi su queste acque che, ordinariamente, sono molto tranquille. I numerosi burroni che si aprono a nordest e ad est sulla parte superiore del lago funzionano come pericolose gole nelle quali i venti, provenienti dalle altezze di Hauran, dagli altopiani della Traconitide e dalla cima del monte Hermon, sono presi e compressi in modo tale che, precipitandosi con una forza tremenda attraverso uno stretto spazio e venendo liberati improvvisamente, agitano il piccolo lago di Genesaret in modo spaventoso.
Sorgono molte domande inquietanti:
– Perché Gesù invita i suoi discepoli a quella traversata se, essendo capace di dominarla, si suppone che poteva anche prevedere il temporale? Già il viaggio supponeva una sfida, perché si dirigevano verso una terra ostile, territorio dei gentili.
– Perché il Maestro permette che siano sottoposti a quella prova? E, ancora più importante per noi, perché sembra che non abbia nessun ruolo in tante sofferenze dell’umanità e, proprio per questo motivo, molte persone pensano che la fede religiosa sia – quanto meno – irrilevante?
– In particolare, perché sembra lontano dalla sofferenza di questi pescatori, se fisicamente stava in mezzo a loro?
Questo spiega perché ci sono tante persone che, teoricamente o praticamente, sono deisti, cioè, non negano l’esistenza di un Dio creatore, ma dubitano che abbia qualche intervento nelle nostre vite e ancor meno nelle situazioni di angoscia.
Questa situazione non si presenta solo in persone benintenzionate che affermano di non avere esperienza personale di Dio. Anche molti di noi (tutti?), che ci proclamiamo seguaci di Gesù, o siamo anche pubblicamente consacrati a Lui, viviamo momenti nei quali non sembriamo credere, né confidare sul permanente intervento divino, su quello Spirito Santo che lavora senza sosta ed il cui nome originale, come ricordava il Papa alcuni giorni fa, è Ruah, cioè, vento. Una coincidenza significativa col carattere impetuoso del vento inarrestabile, travolgente ed indomabile del Vangelo di oggi. Anche questo carattere indomabile si riferisce alla vanità dei nostri sforzi per comprenderlo totalmente, per rinchiuderlo in definizioni o concetti.
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Sappiamo bene, come dice oggi Cristo, che l’opposto della fede è la paura, e la paura ci porta ad essere aggressivi, o allo scoraggiamento… o almeno ad una mediocrità deplorevole. Possiamo menzionare molti tipi di difficoltà, fisiche, morali o perfino intellettuali che affrontiamo con paura, benché le più delicate siano quelle della convivenza.
I malintesi sorgono molto rapidamente nelle tempeste della vita. Questo è precisamente quello che succede ai discepoli che, presi dalla loro ansia, domandano aggressivamente e bruscamente: «Maestro, non t’importa che moriamo?»
Quando ci sentiamo colpiti e minacciati, difficilmente ci preoccupiamo di essere ascoltatori riflessivi ed attenti degli altri. Questo succedeva ai discepoli quel giorno, in cui – ricordiamo – avevano dovuto servire una “grande moltitudine di persone” che a fatica comprendeva le parole del Maestro, il che dovette essere estenuante per tutti.
Ma possiamo anche imparare a gestire e superare i malintesi. Se pratichiamo l’ascolto attento, se facciamo domande aperte ed oneste invece di lanciare rapidamente accuse, e se confidiamo sul fatto che il desiderio di perfezione, benché ferito, è presente in ogni essere umano, perfino in quelle ore di tempesta, allora tutti riceveremo la grazia di calmare più di una tempesta. Questo fece Cristo non solo con le onde, ma anche coi discepoli, invitandoli a riflettere e a discernere sul loro stato personale: Perché avete tanta paura? A loro sembrava evidente, ma il Maestro li invita ad andare oltre quello che l’esperienza delle tempeste aveva insegnato loro.
Il caso di Giobbe, nella Prima Lettura, è un esempio perfetto di come affrontare i malintesi e le critiche. Nella storia di quell’uomo di Dio, leggiamo nei 37 capitoli come Giobbe supplica una risposta divina davanti alla sua disgrazia, dopo avere perso la famiglia, la salute e la sua fortuna. I suoi amici interpretano le disgrazie che gli succedono come qualcosa di meritato, mentre la sua sposa lo spinge a maledire Dio e a suicidarsi.
Benedetto XVI ricordava che San Basilio, nel suo libro sullo Spirito Santo, paragona la situazione della Chiesa posteriore al Concilio di Nicea ad una battaglia navale notturna nella quale nessuno riconosce l’altro, per cui tutti lottano contro tutti. Ma ricordava anche come, quando un enorme albero cade nel bosco, fa un gran rumore e, tuttavia, quando tutto un bosco va crescendo, lo fa in silenzio.
Può succedere che la persona veramente fedele si trovi, come Giobbe, in mezzo ad un enorme turbamento, ma allo stesso tempo si fa strumento affinché la presenza divina sia evidente al suo prossimo. Ricordiamo come Yahvé si manifesta agli increduli amici di Giobbe (Giobbe 42, 8): «Il mio servo Giobbe pregherà per voi, affinché io, per riguardo a lui, non punisca la vostra stoltezza, perché non avete detto di me cose rette come il mio servo Giobbe».
Il silenzio di Dio non va interpretato come il suo modo di rispondere negativamente, né indica che si disinteressi dei nostri problemi. Il silenzio stesso è una risposta. Dio, nella Sua infinita sapienza, si rivela tanto nella parola come nel silenzio. Entrambi servono al suo proposito. Tanto il silenzio come la rivelazione ci portano ad un punto di decisione, offrendoci una fede che va oltre la cosa superficiale, una relazione più profonda con Dio, una comprensione più ampia di chi sia Lui. Nel suo silenzio arriviamo a scoprire che la vera allegria e l’autentica pace non sono l’assenza di dolore, bensì la presenza di Dio.
Accettando il suo silenzio, riconosciamo umilmente che, in questa vita, Dio non dà mai pienamente tutte le risposte alle nostre domande. La nostra comprensione rimarrà sempre come nel crepuscolo, tra la piena illuminazione della comprensione e l’oscurità della completa ignoranza. Può essere che sappiamo quanto basta per vedere, ma non è sufficiente per comprendere la sua profondità. Egli ci ha dato quanto basta per la tappa successiva del nostro viaggio, e ci permette di desiderare di più. Con quel mistero, con quell’anelito, c’è una lezione da imparare, come fecero Giobbe e i discepoli della barca. Bisogna confidare nel passo immediato che Dio ci propone. Questo ci aiuterà ad affrontare quello che ci aspetta.
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Ma oggi non dobbiamo limitarci a pensare ai momenti di difficoltà, alle nostre tempeste. Dio non si fa presente semplicemente illuminandoci per comprendere alcune cose o dandoci la possibilità di uscita da alcune situazioni complicate (non tutte, né molte meno). La presenza di Dio è particolarmente chiara quando ci riuniamo nel suo nome; dobbiamo stare attenti, perché questa è la sua decisione e si può dare il paradosso di trovarci a chiedere la sua presenza e, quando decide di manifestarsi… non gli facciamo caso. Questo è importante, perché non si limita alla mia pace personale, bensì a quella pace di Cristo che si trasmette agli altri attraverso due forme di testimonianza: come vivo la misericordia e come navigo attraverso le penalità, i malintesi e l’opposizione.
Gli storiografi hanno scoperto molte volte che castelli e fortezze erano costruiti su profonde sorgenti che proteggevano in modo essenziale la somministrazione di acqua, assicurandola in tempi di assedio. Un canale che portasse la somministrazione di acqua dall’esterno poteva essere tagliato o controllato dal nemico. Ma non avrebbero potuto chiudere la sorgente interna. In Cristo, stando Lui dentro di noi, i nostri cuori si riforniscono meravigliosamente di una pace eterna, non come quella che può dare il mondo; quella pace mondana dipende dalle condizioni circostanti, ed in tempi di angoscia si esaurisce, ma la pace divina arriva a noi come un’intima sorgente personale.
Nei momenti che ci sembrano felici e di tranquillità, quando tutto o quasi tutto sembra andare bene e ci sentiamo capaci di controllare la nostra vita, non possiamo dimenticare che siamo in un viaggio, in un pellegrinaggio in cui non mancano le sorprese e le tempeste. Possono arrivare un minuto dopo le esperienze più gradite.
Cristo abita in tutti ed ognuno di noi perché siamo templi dello Spirito Santo. In tempi di angoscia, vuole che abbiamo fede in Lui. Ordina alle onde e ai venti dei nostri problemi che si calmino e si acquietino. Non fu capace di fare questo solo a Genesaret, ma continuerà a farlo, perché come dice la Lettera agli Ebrei, Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre.
Vengono alla mente le parole di Cristo: «Il Padre mio opera sempre …» (Gv 5, 17). Sono parole pronunciate da Gesù nel corso di una discussione con alcuni religiosi legalisti che non volevano riconoscere che Dio poteva agire anche di sabato.
Il nostro padre Fondatore ci ha trasmesso chiaramente il modo di comprendere e di affrontare queste tempeste della nostra vita. Si tratta di scoprire la volontà divina, quello che si aspetta da me quando le difficoltà sembrano troppo asfissianti o la purificazione che ci invia ci risulta penosa.
Ci dice che lo stato gioioso della Beatitudine ed il dolore della Stigmatizzazione vanno uniti. La prima si riferisce a sentire continuamente il soffio dello Spirito, a notare che la nostra fragile barca deve affrontare molti scogli che ci fanno tremare, ma al di là di quel tremore e del dolore che produce, sta la sicurezza che lo Spirito Santo è il vento che ci porta: Egli sa che cosa fare con le nostre insonnie. Come dice San Pietro, frutto delle sue vivenze: Umiliatevi dunque sotto la potente mano di Dio, perché vi esalti al tempo opportuno, gettando in lui ogni vostra preoccupazione, perché egli ha cura di voi (1Pt 5, 6-7). Così fece Paolo, supplicando “tre volte” di essere liberato dalla spina che lo tormentava. Non sappiamo che cosa avvenne nella sua intimità, ma è chiaro che Dio lo contagiò con la sua passione per tutti gli esseri umani e si trasformò in esempio per ogni apostolo.
Così vediamo che, senza la presenza dello Spirito, quel dolore emozionale e spirituale che a volte ci opprime sarebbe devastatore e quella presenza sarebbe sterile, se non servisse per partecipare – misteriosamente – alle ansie divine per la salvezza di tutti.
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Nei Sacri Cuori di Gesù, Maria e Giuseppe,
Luis Casasus
Presidente