Vangelo secondo San Giovanni 1,35-42:
In quel tempo Giovanni stava con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: «Ecco l’agnello di Dio!». E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: «Che cosa cercate?». Gli risposero: «Rabbì – che, tradotto, significa maestro –, dove dimori?». Disse loro: «Venite e vedrete». Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio. Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: «Abbiamo trovato il Messia» – che si traduce Cristo – e lo condusse da Gesù. Fissando lo sguardo su di lui, Gesù disse: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa» – che significa Pietro.
Issare le vele
Luis CASASUS Presidente delle Missionarie e dei Missionari Identes
Roma, 14 gennaio 2024 | II Domenica del Tempo Ordinario
1Samuele 3, 3b-10.19; 1Corinzi 6, 13c-15a.17-20; Giovanni 1, 35-42
Parlando coi bambini della parrocchia o della Gioventù Idente, ho l’abitudine di chieder loro qual è la materia di scuola che preferiscono, o che lavoro vorrebbero fare come adulti, ma non mi è mai successo di domandar loro quale sia la “loro vocazione”. Non è un problema di parole, ma certamente, il Vangelo di oggi ci presenta l’autentico e pieno senso della parola “vocazione”: chiamata, non semplice preferenza o scelta. Dietro quella chiamata o invito, naturalmente, c’è la voce divina, non è qualcosa che emerge dall’interiorità della persona.
Dio convoca qualcuno per una missione, come fa con Abramo, Mosè, o San Paolo. Perfino nel battesimo di Cristo si vede chiaramente che è “qualcuno” che lo chiama da di fuori.
Normalmente, una vocazione divina è contro la propria volontà. Mosè si lamentava che gli israeliti non gli facevano mai caso e pensava che neanche il Faraone l’avrebbe ascoltato. Geremia non solo cercò di resistere a quella vocazione, ma si lamentò anche di essere trattato come un agnello mansueto portato al mattatoio (Ger 11, 19). Giona volle scappare dalla missione e anche lo stesso Cristo pregò di essere liberato da quello che gli veniva chiesto: «Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice! …» (Mt 26, 39).
Inoltre, la vocazione è origine di molte difficoltà per coloro che sono chiamati, con la persecuzione o l’incomprensione dei più vicini, che a volte arrivano a minacciarli di morte, come avvenne ad Ezechiele o a Paolo. Cristo aveva appena iniziato la sua obbedienza alla vocazione nella vita pubblica che si vide “portato dallo Spirito” nel deserto per essere tentato.
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La maggiore difficoltà, tuttavia, è interiore, e può riassumersi in una parola, la distrazione, o la deviazione. Oltre alle mancanze morali, molte volte, il popolo d’Israele o i suoi re furono puniti e corretti per essersi abbagliati, essersi lasciati catturare e dedicati agli dei dei popoli vicini.
Possiamo pensare alle passioni, alle forti tentazioni, allo scoraggiamento… ma la distrazione ha un potere immenso. Questo spiega perché Gesù invitasse i due discepoli di Giovanni a passare la sera con Lui, lontano dal movimento e dalle conversazioni della gente.
Il seguente dialogo ci può aiutare a convincerci di questo:
Maestro: I domatori di leoni più coraggiosi utilizzano due strumenti per controllare e domare i feroci compagni che si aggirano nella gabbia: una frusta ed una sedia. Quale delle due è più preziosa per il domatore?
Discepolo: Senza dubbio, la frusta.
Maestro: No. L’attrezzo più importante è la sedia, e più concretamente, le quattro zampe della sedia!
Discepolo: Che strano! Perché?
Maestro: Un leone può dominare, mutilare ed uccidere facilmente una persona. Tuttavia, al leone risulta facile farlo solo se può concentrarsi sull’oggetto unico della persona. Il domatore di leoni utilizza la sedia come metodo di distrazione. Il leone, affrontando le zampe della sedia, cerca di concentrarsi sulle quattro zampe allo stesso tempo. Confuso ed incapace di concentrarsi, rimane lì, congelato! Il domatore di leoni rimane sicuro dietro la sedia.
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La Prima Lettura di oggi ci mostra come la vocazione sia qualcosa di più di quello che viene rappresentato nell’Antico Testamento: sul monte Oreb Dio non utilizza più terremoti, incendi o potenti uragani per chiamare Samuele, bensì qualcosa che può succedere ad ogni essere umano, come avvenne ai due discepoli di S. Giovanni Battista a cui Gesù fece una domanda apparentemente informale: Che cercate? Ovviamente, l’espressione “Dio chiamò Samuele” non deve essere presa alla lettera. Solo nel silenzio della notte, nell’orazione, Samuele poté comprendere la volontà di Dio, che anni addietro gli aveva parlato attraverso i suoi sentimenti, attraverso le persone buone e crudeli che conobbe, attraverso le sue letture, attraverso le sue esperienze personali.
Inoltre, contava sull’aiuto di Elia per poter interpretare le sue impressioni spirituali. Per noi non è molto diverso. Di fatto, ogni giorno scopriamo con sorpresa un nuovo significato delle parole che abbiamo sentito molte volte nel Vangelo, o di quello che significa il vero amore.
La vocazione viene da Dio, ma è una risposta all’inquietudine più intima dell’essere umano. In realtà, Gesù sta dicendo a questi due apostoli: Vi interessa veramente qualcosa di profondo? Non è solo per curiosità che volete parlare con me? Volete semplicemente stare bene? Giustificati? Forse realizzati? Di nuovo appare la possibilità della distrazione: abbiamo grandi domande, grandi preoccupazioni, grandi aspirazioni… ma che possono volatilizzarsi facilmente. Queste distrazioni abitualmente si chiamano “attaccamenti” quando parliamo della vita ascetica, e non è esagerato dire che è impossibile liberarsi di essi, a meno che non guardiamo faccia a faccia Cristo, e restiamo davanti a colui che non possiamo ingannare.
Questo è l’invito di S. Giovanni Battista ai suoi discepoli. Non indica Cristo come un invito a guardarlo con curiosità, ma piuttosto con vera attenzione, con apertura, con il desiderio di passare del tempo vicino a Lui, così come poi essi fecero. Fa vedere loro che, oltre alla sua sapienza, Egli è l’Agnello di cui parlò Isaia, venuto per addossarsi le iniquità di molti, per offrire se stesso in espiazione ed intercedere per i peccatori (Is 53 10.11.12).
Altrimenti, se il centro non è Cristo, ma una qualche forma di ideale morale o una certa forma di generosità, tipica del nostro carattere, ci succederà come ad un famoso (e sveglio) conferenziere spirituale, che fece la seguente confessione alla sua guida e maestro:
Stavo dando conferenze sulla spiritualità. Si supponeva che io fossi un maestro spirituale senza attaccamenti, ma la realtà è che, là dove andavo, portavo quelle nove scatole di cose che avevano un valore sentimentale per me. Cosicché andavo di città in città, dando conferenze su come non avere attaccamenti, e per tutto il tempo mi portavo sulle spalle quelle nove scatole.
Un giorno mi resi conto che avrei dovuto rinunciare veramente ai miei attaccamenti a quelle cose, cosicché feci il possibile per regalare tutto, ma alla fine mi rimanevano ancora tre scatole.
Mi dispiace, Maestro – scrissi – è tutto quello che posso fare per ora, la cosa mi sta uccidendo.
Questo mi succedeva alcuni mesi fa… ora ho tredici scatole.
La cosa certa è che almeno sospettiamo che Dio vuole qualcosa da noi o, se non crediamo nella Sua esistenza, almeno che siamo venuti a questo mondo per fare qualcosa di più importante che lavorare e realizzare un’attività dietro l’altra. Isaia lo scrisse in modo poetico e preciso: Il Signore dal seno materno mi ha chiamato, fino dal grembo di mia madre ha pronunziato il mio nome. (Is 49, 1). Una volta conosciuto Cristo, per poco che sia, per infedele che io sia, mi sentirò spinto a proclamare quello che Andrea disse a suo fratello Pietro: Abbiamo trovato il Messia.
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La Seconda Lettura ci parla della purezza, il che non sembra avere alcuna connessione con la vocazione, a meno che non abbiamo compreso il pericolo delle distrazioni che normalmente non ci sembrano lasciare l’impressione di mancanza, un senso di colpa o di peccato. La Chiesa oggi ci fa riflettere sulla vera purezza, che non si limita al contenimento di atti o pensieri di contenuto sessuale. Già il nono Comandamento della Legge di Dio ci comanda di essere puri e casti in pensieri e desideri.
Ma, oltre a ciò, Cristo insegnerà che i puri vedranno Dio, cioè, saranno capaci di vedere con gli occhi di Dio, in altre parole, di conoscere, valutare e compiere la sua volontà.
La persona pura che non cade in distrazioni, è capace di vedere la presenza di Dio negli altri e in ogni circostanza del giorno.
La vocazione, come si è detto spesso, non è qualcosa di puntuale, come abitualmente si intende quando si dice che qualcuno sente la vocazione di entrare in convento o in una comunità religiosa. Non è neppure una chiamata a “realizzare un’azione concreta”. In realtà, somiglia molto a quello che il geniale Sant’Agostino condensò in poche parole: Ama e fa’ ciò che vuoi. La vocazione significa un invito a fare in modo che tutto ruoti intorno a Cristo; è come un marinaio dei vecchi tempi che conosce bene la rotta da seguire, anche se si troverà con temporali, nebbie, pirati… a volte anche con un ammutinamento a bordo. Non perdere di vista che sempre possiamo lavorare per il Regno dei Cieli è qualcosa che San Paolo, nella sua tribolata e tormentata vita, visse fedelmente: Sia che mangiate, sia che beviate, sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio (1Cor 10,31).
La vocazione non è altro che la scoperta di quello per il quale siamo stati creati, il luogo che siamo chiamati ad occupare nella creazione e nel piano di Dio. Essere fedele alla mia personale vocazione è essere fedele a quello che veramente sono. Per questo motivo, per le anime pure e sensibili, la creazione parla di Dio. L’ordine e l’obbedienza della creazione, delle creature alle sue leggi, avvicina quelle anime ad un Creatore che, più avanti, scopriranno come Padre.
Se potete, non smettete di leggere Diario di un curato di campagna, un romanzo dello scrittore francese Georges Bernanos (1888-1948), nel quale un umile sacerdote di una piccola parrocchia scrive un diario delle sue esperienze, che includono l’ostilità e la mancanza di compassione dei membri della sua parrocchia, una questione riguardante la sua vocazione e la sua vita di orazione, tutto ciò mentre assiste una donna che anni prima aveva perso il suo bambino.
Lotta anche contro un grave disturbo di stomaco, e si vede ridotto a mangiare solo piccole quantità di pane, vino economico e poco più. Dopo aver cercato di far ritornare un compagno al sacerdozio, muore di cancro allo stomaco con un rosario sul petto, dicendo: Che cosa importa? Tutto è grazia.
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Nei Sacri Cuori di Gesù, Maria e Giuseppe,
Luis Casasus
Presidente