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Santo

Sant’Andrea Avellino, 10 novembre

By 9 Novembre, 2024No Comments

Portata spirituale del pentimento. Questo teatino, quando era sacerdote secolare, commise un errore nel suo compito da avvocato, e nel riparare la sua debolezza, spinto dalla sua afflizione, non smise di fermarsi nella ricerca della santità

Il riconoscimento delle proprie debolezze implica sempre una cascata di benedizioni. Lancellotto che era il suo nome di battesimo, nacque nella località italiana di Castronuovo di Sant’Andrea, Basilicata, nell’anno 1521. La sua infanzia ed adolescenza trascorse senza maggiori contrattempi. Generoso ed inclinato alla pietà, gioiosamente condivideva con altri ragazzi del suo ambiente la fede che aveva ricevuto nella sua casa attraverso i suoi cristiani genitori, Giovanni e Margherita. In quel gesto si indovinavano già i tratti di un grande apostolo. Anche la sua responsabilità e maturità al cui sviluppo contribuì uno zio arciprete. Queste caratteristiche lo resero pronto a lasciare nelle sue mani l’amministrazione della casa quando aveva 16 anni.

In gioventù si afferrò alla grazia divina per mantenersi indenne davanti alle tentazioni che l’assalivano. Voleva essere sacerdote, e nel suo animo – benché in modo non cosciente – aggiungeva la qualifica rotonda, definitoria, di un cammino al quale si sentiva chiamato in mezzo alle turbolenze giovanili: essere sacerdote santo. Orbene, benché quell’anelito incoraggiasse la sua carriera sacerdotale, non diventò evidente in un primo momento, come egli stesso manifestò. Nel 1545 già ordinato, iniziò a Napoli la carriera di diritto. Nel 1548 realizzò profittevolmente gli esercizi spirituali predicati dal gesuita Santiago Laínez, ma le aspettative di certe glorie ed onori effimeri che terminano quando finisce la nostra peregrinazione sulla terra, invadevano la sua mente ed egli rimaneva preso da esse. Vanità, dignità, ambizioni, fama, etc., erano un brodo di coltivazione in un ambiente che non propiziava precisamente la radicalità evangelica, elemento indispensabile ed essenziale per arrivare alla santità.

Sappiamo che ancora non si era proposto formalmente di scalare le cime della perfezione in quegli anni, perché egli stesso lo confessò a Ippolita Caracciolo nel 1595. Inoltre, nel 1597 alla contessa di Altavilla diceva che fino ai 27 anni era stato molto distratto. In sintesi, davanti ad entrambe riconobbe avere vissuto “gonfio di superbia ed ambizione, desiderando essere superiore a tutti e soggetto a nessuno, pieno di presunzione e di vana gloria, perché non conosceva la vera”, “desiderando e cercando queste vane grandezze, ricchezze, onori e dignità”. Si sentì trascinato da tendenze che vedeva intorno a sé: “Io credevo di operare bene vedendo gli altri, tanto ecclesiastici come secolari, cercare queste cose”, non avendo trovato mai confessore che mi rimproverasse e mi avviasse per il sicuro cammino verso l’umiltà.”  

Sentiva la necessità di direzione spirituale, chiave per iniziare il cammino e sostenersi in esso con la grazia di Cristo. Allora il padre Laínez lo sollecitò a meditare sulla vita e Passione di Cristo. Ma ciò non piegò subito il suo animo, fino a che, essendo un celebre giurista, mentì nel fragore della difesa di una causa che aveva tra le mani per incarico dell’arcivescovato di Napoli. Una pagina concreta delle Sacre Scritture ebbe su di lui un effetto taumaturgico definitivo. Perché quella stessa notte, aprendo il testo sacro, rimase impressionato. Il Libro della Sapienza scosse la sua coscienza con questo passaggio: “Os quod mentitur occidit animam, (una bocca bugiarda dà morte all’anima)”, (Sap 1,11). Inondato di amarezza, con autentico spirito di afflizione per la sua debolezza, abbandonò l’esercizio dell’avvocatura e prese la rotta dovuta: “Riflettei su me stesso dicendo: Per aiutare altri ho minacciato la mia anima? E piangendo la mancanza commessa, risolsi di lasciare il mio mestiere e diventare religioso”. Finalmente aveva capito che Cristo è venuto a guarire i peccatori, e rivolse verso di Lui i suoi occhi.

Aveva già rinunciato ai suoi beni, ed abbandonato la sua attività professionale, quando dalla curia lo pregarono di ritornare a Napoli al fine di occuparsi del delicato compito di riformare diversi conventi di religiosi e di religiose. Il suo zelo gli attrasse molti dispiaceri, e non falciò la sua vita solo perché Dio l’impedì, ma nel 1556 gli assestarono varie coltellate e fu condotto alla casa dei padri teatini dove si ristabilì senza svelare mai l’identità del suo aggressore. Il beato Giovanni Marinoni gli suggerì di entrare nell’Ordine dei Chierici Regolari. Ed il 30 novembre di quell’anno1556 prese l’abito e il nome di Andrea, celebrazione del giorno che gli evocava, inoltre, l’amore per la Croce condiviso col santo apostolo. Professando due anni più tardi, si propose di “non fare mai la propria volontà, e non lasciare passare neppure un solo giorno senza progredire nella perfezione”.   

Fu ammirevole nella vivenza della sua consacrazione, ed esemplare nella donazione dovuta alla missione che gli affidarono. Si convertì in un grande predicatore e confessore, maestro di novizi, direttore spirituale del seminario, professore di teologia e filosofia, visitatore e superiore di varie case dell’Ordine, ecc. Istruiva con quella sapienza che germoglia da dentro il cuore, alimentata dall’Eucaristia, la preghiera e la penitenza. Sviluppò il suo ministero essendo fedele alla vivenza dalla sua regola della quale fu stretto osservante, fedeltà che infuse ai religiosi. Umilmente declinò l’offerta della carica di vescovo, dignità che vollero per lui i pontefici. Fu caritatevole con tutti, prodigandosi per i bisognosi, come si constatò specialmente durante la peste che distrusse Milano nel 1576.

Gli sopravvenne la morte il 10 novembre 1608 quando si trovava sul punto di officiare la santa messa. Poi, il suo corpo fu spogliato dalla gente che accorse in massa a venerarlo. Dalle sue ferite uscì ancora sangue fresco due giorni più tardi, prodigio che si ripeté per anni nell’anniversario della sua morte.

Fu beatificato da Urbano VIII il 14 ottobre 1624, e canonizzato da Clemente XI il 22 maggio 1712.

© Isabel Orellana Vilches, 2018
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