“Dottore della Chiesa, maestra del cammino spirituale, con la sua virtù questa grande carmelitana la lasciato al mondo un eccelso trattato di come rendere soprannaturale l’ordinario. E’ la patrona delle missioni”
La sua fragile apparenza e la forma di espressione di alcuni scritti che possono ricordare uno stile leggermente infantile, a queste altezze, e con quello che si sa di lei, non può confondere nessuno. La grande Teresa di Lisieux era una donna con una forza spirituale non comune. Fu dottore dell’amore in grado sublime, certamente eroico. Rese soprannaturali le piccole cose quotidiane, affrontando con decisione irrevocabile per amore di Cristo quelle che costano di più, quelle che interrompono il flusso dell’amore per Dio e per gli altri in questioni apparentemente insignificanti, sottili, ma che nascondono un certo grado di sofferenza per niente disprezzabile. La strada spirituale che ha tracciato con la sua virtù è un eccelso trattato di come superarli.
Ebbe una vita breve, intensa e dedicata, traboccante di tanta tenerezza e di tale ricchezza che sarebbe stato irreparabile in ogni punto non avere potuto contare sulla sua impressionante testimonianza d’amore. Per fortuna, lasciò plasmata nella sua formidabile “Storia di un’anima”, oltre a farlo nelle sue lettere e negli scritti, la passione che inondava tutto il suo essere in un gesto supremo di generosità, terminando questa opera sul punto di morire. Seminò l’amore fino a che esalò l’ultimo sospiro. Questa insigne carmelitana, patrona delle missioni, continua profumando con la sua squisita carità il mondo intero.
Venne al mondo ad Alençon (Francia) il 2 gennaio 1873. Ebbe il privilegio di nascere in una casa di due autentici figli di Dio, anch’essi innalzati agli altari dalla Chiesa: Luigi e Zelia. Vide sfilare davanti a lei le sue sorelle Maria, Paolina e Zelina, che la precedettero nel Carmelo. Sognò di seguire ardentemente i loro passi, supplicò tanto, che alla fine ottenne quello che desiderava. Aveva dalla sua parte, oltre alla grazia divina, l’appoggio di suo padre; sua madre era già morta. Leonia, un’altra delle sue sorelle, scelse le religiose della Visitazione. Come la sua fede non aveva frontiere, nel Luglio del 1887 Teresa strappò con la sua orazione la conversione dal condannato a morte Pranzini. Quel Natale la segnò a fuoco. Comprese che il Bambino Dio si era fatto piccolo per amore suo, per infondergli valore nella sua sequela. E benché avesse 15 anni, suo padre non dubitò di condurla davanti al papa Leone XIII a cui espose con fermezza il suo desiderio di entrare nel Carmelo, il che avvenne nel 1888.
Professò nel 1890, quando suo padre era già ammalato, avendo chiaro il suo obiettivo di scalare le più alte cime dell’amore. Sfruttava il tempo, come se sapesse che non gliene sarebbe stato concesso troppo, pregando, facendo penitenza ed approfittando di tutti i momenti per mortificarsi con qualunque circostanza propiziata dalla convivenza. Delicata, sensibile e squisita nel suo trattamento, soffriva i gesti che contravvenivano la sua visione di come doveva essere la vita religiosa e li offriva a Cristo. Secondo il precetto evangelico, cercava espressamente le sorelle dal comportamento più complesso e dedicava a coscienza il meglio di sé. “Ora comprendo che la carità perfetta consiste nel sopportare i difetti degli altri, nel non allontanarsi dalle loro debolezze, nell’edificarsi dei più piccoli atti di virtù che li vediamo praticare. Ma, soprattutto, compresi che la carità non deve rimanere racchiusa in fondo del cuore”. Sopportò con spirito esemplare le basse temperature del convento: -“ho sofferto di freddo nel Carmelo fino alla morte“-, tacque il suo orrore per determinati insetti, sopportò con dolcezza accuse infondate senza giustificarsi, ecc. E quando vedeva che la sua debolezza poteva metterla in grave guaio mancando alla carità, fuggiva, facendo di questo gesto una vittoria sulla sua tendenza dominante. Era l’espressione della sua orazione continua. “Per me, pregare consiste nell’elevare il cuore, nell’alzare gli occhi al cielo, nel manifestare la mia gratitudine ed il mio amore allo stesso modo nel gioia che nella prova.”
Anelava il martirio: “Voglia Gesù concedermi il martirio del cuore o il martirio della carne; preferirei che me li concedesse entrambi”. Il primo le fu concesso. Tuttavia, in un momento dato della sua vita disse: “Sono arrivata ad un punto tale che mi è impossibile soffrire, perché ogni sofferenza è dolce”. Nel 1893 fu designata aiutante della maestra di novizie. Ignoravano che viveva un’intensa aridità. Ed è che era tanto centrata nell’Eucaristia che era abbastanza difficile immaginarlo. Sapeva che la vivenza della virtù senza la grazia di Dio è impossibile. Umilmente scrisse: “Io sono un’anima minuscola che solo può offrire piccolezze a nostro Signore”. Con quelle “piccolezze” illuminò il cammino della perfezione e si trasformò in maestra dell’infanzia spirituale. “La santità non consiste in questa o nell’altra pratica, bensì in una disposizione del cuore che ci fa umili e piccoli tra le braccia di Dio, coscienti della nostra debolezza e fiduciosi fino all’audacia nella sua bontà di Padre.”
Nel 1894 morì suo padre, ed alla fine di quell’anno cominciò a scrivere la Storia di un’anima per indicazione della madre Inés di Gesù, sua sorella Paolina. Nel 1895 si sentì chiamata ad offrirsi all’amore misericordioso. Poco dopo sperimentò la più alta intensità dello stesso, la “ferita d’amore”. Accolse con entusiasmo la missione di accompagnare spiritualmente Bellière che si preparava per essere missionario, e nel 1896 quella del padre Roulland che si trovava all’estero in missione. Nella Settimana Santa di quell’anno soffrì i primi attacchi di emottisi, ed entrò nella “notte della fede” che perdurò fino alla fine dei suoi giorni.
Nel 1897, già gravemente malata, la madre Maria di Gonzaga le indicò di continuare il manoscritto della sua vita. L’8 Luglio di quell’anno fu condotta all’infermeria. Nel Quaderno giallo si constata l’immensa ricchezza che continuò scrivendo nel letto del dolore. Lì consegnò la sua vita il 30 settembre, esclamando: “Oh, lo amo…”. Come vaticinò, dopo la sua dipartita fece “cadere una pioggia di rose”.
Pio XI la beatificò il 29 aprile 1923, e la canonizzò il 17 maggio 1925.
Giovanni Paolo II la proclamò dottore della Chiesa il 19 ottobre 1997.
© Isabel Orellana Vilches, 2018
Autora vinculada a
Obra protegida por derechos de autor.
Inscrita en el Registro de la Propiedad Intelectual el 24 de noviembre de 2014.
________________
Diritti di edizione riservati:
Fondazione Fernando Rielo
Hermosilla 5, 3° 28001 Madrid
Tlf.: (34) 91 575 40 91 Fax: (34) 91 578 07 72
E-mail: fundacion@rielo.org
Deposito legale: M-18664-2020
ISBN: 978-84-946646-6-3