“Religioso trinitario. Eccelso apostolo del rosario, conosciuto come il padre Avemaria, fondatore della Congregazione degli Schiavi del Dolce Nome di Maria. Una figura notevole nella Madrid degli austriaci”.
Nacque a Valladolid (Spagna) il 28 ottobre 1552. I suoi genitori si erano stabiliti lì e reggevano una macelleria. Era il terzo di cinque fratelli. Ereditò da Costanza, sua madre, l’amore per la Vergine. Tanto è vero che i cronisti assicurano che “Ave Maria” furono le prime parole che pronunciò quando aveva quattordici mesi. Furono anche quelle che scortarono la sua entrata nel cielo, dato che esse segnarono le sue labbra alla fine della sua vita. Essendo un adolescente, ed ignorando l’opposizione familiare, sollecitò l’entrata nell’Ordine Trinitario. Compì questo sogno nel 1566. Più avanti, dopo quattro anni di noviziato, professò nel 1572.
Fu balbuziente fino a questa epoca della sua vita, poiché prima di arrivare da Salamanca per continuare la sua formazione si trattenne a Paradinas de San Juan e nello scomparso santuario-convento si venerava la Vergine delle Virtù; le dedicò una novena e guarì in maniera istantanea. Fu il luogo che scelse per officiare la sua prima messa. Poi partì per Toledo perché il capitolo provinciale gli aveva indicato di insegnare le materie di filosofia e teologia come lettore di arti del convento. Esercitò la docenza fino al 1587, mentre al contempo era anche formatore; uno dei novizi era san Giovanni Battista della Concezione. Svolse anche il mestiere di visitatore apostolico in Castiglia ed in Andalusia in modo edificante, accettando per obbedienza queste missioni poiché per tendenza naturale avrebbe declinato quelle che rivestivano alte responsabilità.
L’innocenza evangelica del santo, figura unica alla corte degli Austriaci, commosse il monarca spagnolo Filippo III – che lo scelse come consigliere e precettore dei suoi figli -, e sua moglie Margherita d’Austria. Ambedue presero contatto con lui attraverso la contessa di Altamira che conobbe Simón quando passò nel convento trinitario madrileno nel 1601. Il giudizio personale del re, dopo averlo osservato da breve distanza, era senza dubbio chiarificatore; sintetizzava la mirabile virtù che aveva apprezzato in lui: “Non ho visto uomo che meno sappia di mondo”. Che la sua devozione alla Vergine fosse proverbiale lo provano le numerose opere che intraprese in suo onore. Tra le altre cose, ottenne che l’ “Ave Maria” fosse scolpita sul frontespizio del Palazzo Reale di Madrid. Per questa giaculatoria che continuamente germogliava dalle sue labbra fu denominato “Padre Avemaria”. Questo saluto lo plasmò nella moltitudine di stampe che distribuì dentro e fuori della Spagna. Fedele osservante del santo rosario, ebbe la Vergine come modello per tutta la sua vita, e trasmise ovunque il suo anelito di essere schiavo suo considerando che tutti quelli che si fossero abbracciati a Lei avrebbero potuto unirsi più strettamente alla Santissima Trinità.
Nel 1612, col beneplacito del re Filippo III, fondò la Congregazione degli Schiavi del Dolce Nome di Maria che agglutinava persone di tutte condizioni, compresi i membri della regalità e nobiltà; questi, che furono i primi soci, in nome della Vergine assistevano i poveri. “Se a Dio, che chiede nel povero, non dai, non riceverai”, diceva. In questo affanno di trasmettere la sua devozione per la Madre di Dio, scrisse un ufficio per la festa del Santo Nome di Maria destinato al suo Ordine che fu approvato dalla Santa Sede. Innocenzo XI lo rese poi estensivo a tutta la Chiesa. A Simón si deve anche il rosario di 72 grani bianchi e cordone azzurro in onore dell’Immacolata Concezione che realizzava con le sue mani e distribuiva a destra e sinistra. Il numero di grani significava gli anni che poté vivere la Vergine.
Oltre al suo instancabile compito di diffondere l’amore per Maria e per la confessione, si occupò dei prigionieri ai quali inviava le quantità che riscuoteva per essi. Si sentiva profondamente commosso dalla morte (con l’intervento di violenti berberi) di tre fratelli religiosi che avevano intrapreso viaggio per la redenzione di questi prigionieri. I malati, i poveri, i carcerati della prigione di Madrid, i condannati, i bambini abbandonati per i quali fondò un centro d’accoglienza e, in generale, gli emarginati per qualunque causa, erano nel suo ordine di preferenza; esercitava con tutti la sua azione caritatevole e misericordiosa. Fu un gran confessore e maestro dell’orazione. Ad essa dedicava espressamente varie ore giornaliere, benché vivesse in una costante presenza di Dio. Per questo motivo si è detto che “tutto quanto predicava, tutto lo raggiungeva nell’orazione”. Assemblò meravigliosamente contemplazione ed azione apostolica.
Filippo IV che salì al trono nel 1621, lo nominò confessore di sua moglie, la regina Isabella di Borbone, e di sua sorella Anna Maria Maurizia; questa avrebbe contratto più tardi matrimonio con Luigi XIII di Francia. Simón si impegnò col monarca a compiere l’impegno, a patto di non dover contravvenire a quelli che implicava la sua condizione religiosa, né ridurre la sua azione apostolica coi poveri e gli schiavi. Inoltre, non volle essere trattato con deferenza, né essere rimunerato per ciò.
Nel Luglio del 1624 fu testimone di un fatto spregevole, sacrilego che successe in un tempio dove si profanò una Sacra Forma. L’immenso dolore che produsse poté essere la causa del suo inarrestabile crollo. Fino a che non avvenne la sua morte, il 29 settembre di quell’anno, egli mantenne un’intensa attività. Due giorni prima di rimanere prostrato con carattere irreversibile, i religiosi lo videro nel coro pregando alcuni istanti davanti ad un quadro della Vergine degli Abbandonati. Già aveva salutato tutti.
Clemente XIII lo beatificò il 19 maggio 1766. Giovanni Paolo II lo canonizzò il 3 Luglio 1988, Anno Mariano.
© Isabel Orellana Vilches, 2018
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