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Santo

San Martin de Porres, 3 novembre

By 2 Novembre, 2024No Comments

«Religioso domenicano peruviano. Il primo mulatto a salire gli altari, onorato in numerosi paesi del mondo. Patrono della giustizia sociale, dei barbieri, degli spazzini, degli infermieri, dei farmaceutici, protettore dei poveri»

Colui che tante volte si presentò come “un cane mulatto”, primo in America a salire agli altari, è uno dei più grandi santi che il Perù abbia dato alla Chiesa. Esibisce il patronato di numerose entità del Perù, Venezuela, Messico, Argentina, Panama, Guatemala, Spagna, Cile, Costa Rica, Bolivia ed altri paesi. Chi l’avrebbe mai detto all’umile Martin che col passare del tempo l’avrebbero onorato fratellanze e confraternite, e che durante la processione la sua immagine sarebbe stata acclamata per i viali della sua bella terra, ancora oggi dopo tanti secoli…. Ma così è. La grazia che l’accompagnò in vita, ed alla quale si afferrò, continua ad illuminarci attraverso la sua eroica testimonianza d’amore per Cristo.

Nacque a Lima, Perù, il 9 dicembre 1579. Era figlio naturale dello spagnolo Juan de Porres, un abitante di Burgos che apparteneva all’Ordine militare di Calatrava, e della mulatta libera di origine panamense, Ana Velásquez. Le aveva promesso di sposarla, ma i pregiudizi dell’epoca non si allearono con loro. Da questa unione illegittima nel 1581 venne al mondo anche una bambina. Quando il viceré diede un incarico a Juan di andare a Guayaquil, egli si portò dietro i piccoli. Tuttavia, la sua famiglia ripudiò il ragazzo per il colore della pelle. Juan si occupò della sua educazione, ma nel 1590 quando lo nominarono governatore di Panama, si vide obbligato ad inviarlo a Lima. La vicinanza gli aveva permesso di constatare le numerose virtù di Martin, la sua bontà e proverbiale generosità coi poveri, ai quali dava l’elemosina facendo uso dell’assegnazione che egli gli consegnava. Non era una tattica nuova. Quando viveva con sua madre, normalmente rubacchiava il denaro che gli dava per effettuare gli acquisti. Ritornando a casa, candidamente si scusava dicendo che le monete che gli mancavano le aveva perse per strada.

A Lima, del santo si occupò Isabel García Michel che viveva a Malambo, un quartiere periferico caratterizzato dall’origine multirazziale della sua popolazione, ma in una casa rispettabile; forse Ana la madre era una delle addette del servizio, e per questo motivo si stabilì lì con suo figlio. Questi ricevette la cresima nel 1591 dalle mani di san Toribio di Mogrovejo, patrono dell’episcopato latinoamericano. Elegante e gentile nel trattamento, Martin era anche molto intelligente, cosicché non gli costò imparare le tecniche del barbiere, mestiere celebre nell’epoca, ed acquisire nozioni di medicina che gli sarebbero servite più tardi nella sua missione. Prima di diventare religioso aveva un buono stipendio come aiutante del farmacista Mateo Pastor. Con quello che guadagnava, aiutava altri ragazzi che non avevano mezzi economici. L’esercizio della sua professione gli permetteva di accedere tanto al fior fiore della società di Lima come alle classi inferiori; a tutti parlava della bontà di Dio. Combinava questo compito col lavoro volontario che realizzava in ospedali; passava praticamente le notti vegliando e pregando davanti ad un’immagine di Cristo crocifisso.

A 15 anni, incoraggiato dal frate Juan di Lorenzana, volle essere domenicano come lui, ma la discriminazione per differenza di razza, pregiudizio marcato allora, lo seguì anche nel convento di Nostra Signora del Rosario. Poté entrare unicamente come “donato”. Ma era più che sufficiente per il suo spirito umile e servizievole, poiché solo desiderava stare più vicino a Dio ed aiutare il prossimo. Per il resto, gioiva nel “passare inosservato ed essere l’ultimo”. Il trattamento disuguale che gli dispensarono, gli insulti che riceveva per la sua carnagione scura, non gli tolsero la sua allegria, e la scopa che misero nelle sue mani fu strumento di gloria per la sua vita.

In una visita che suo padre fece al convento, ottenne che il provinciale considerasse Martin come fratello cooperatore. Professò nel giugno 1603. Fedele osservante, pronto alla preghiera, ubbidiente, umile, generoso, puntuale, sobrio, semplice, austero, era anche diligente e generoso con gli altri fino all’estremo. Il Santissimo Sacramento e la Vergine del Rosario furono oggetto supremo della sua devozione. In generale, era tanto stremato per i suoi compiti che faceva improbi sforzi per non soccombere al sonno durante la preghiera. Le sue attenzioni come infermiere furono un parafulmine per il convento; lì accorrevano numerose persone che lo cercavano. Ma la sua pietà e misericordia coi malati e poveri che raccoglieva per strade, trasportandoli a spalla fino al suo letto per prodigare loro attenzioni con ogni tenerezza, suscitarono diffidenze ed invidie; fu oggetto di ingiurie perfino dai suoi stessi fratelli.

Dio gli concesse il dono di miracoli, tra gli altri. Le cure straordinarie si produssero non solo con le sue cure, ma anche semplicemente con la sua presenza. Egli, umilmente, avvisava: “Io ti curo, Dio ti guarisce”. Come ricevette il dono della bilocazione, lo si poteva vedere contemporaneamente in vari posti consolando e rimediando ai mali degli uni e degli altri. Una volta vide che un operaio cadeva dall’impalcatura della torre e, per non disubbidire – raccontano i testimone dell’epoca – gli disse “fermati!” e poi andò a sollecitare il permesso al suo superiore per salvarlo, mentre il muratore rimaneva sospeso nell’aria, permesso che gli fu concesso, così che si operò il miracolo richiesto dal buon uomo e che si produsse davanti alla sua forte impressione e a quella del superiore di Martin. Memorabile fu l’azione del santo durante l’epidemia di vaiolo; si trasformò nell’ “angelo di Lima”. Perfino gli animali affamati e feriti erano oggetto del suo affetto. Fondò gli Asili e Scuole di Orfani di Santa Croce per bambini e bambine. I suoi fratelli contemplavano attoniti la sua intensissima azione apostolica quotidiana, domandandosi in che momento dormiva.

Era stimato per tutti, compreso il viceré che non nascondeva la sua venerazione per lui. Nel 1639 contrasse il tifo esantematico che gli procurava spasmi, febbre alta e deliri. E seppe che era arrivata la sua ora: “Ecco qui la fine della mia peregrinazione sulla terra. Morirò di questa malattia. Nessuna medicina mi potrà aiutare”. Manifestò che in quell’istante l’accompagnavano la Vergine, San Giuseppe, San Domenico, san Vicente Ferrer e santa Caterina di Alessandria. E baciando il crocifisso morì il 3 novembre di quell’anno.

Gregorio XVI lo beatificò nel 1837. Giovanni XXIII lo canonizzò il 6 maggio 1962, e lo dichiarò santo patrono della giustizia sociale.

© Isabel Orellana Vilches, 2018
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