“Domenicano, spagnolo, consultore di santi. Nominato da Alessandro VIII patrono della Colombia, dove evangelizzò tra gli indigeni e difese i suoi diritti di fronte alla cupidigia e alla prepotenza di certi colonizzatori”.
Nacque a Valencia (Spagna) il 1° gennaio 1526 nel seno di una famiglia agiata e virtuosa. Sua nonna era nipote di san Vicente Ferrer, e suo padre Juan Beltrán, notaio di grande prestigio, ricopriva l’incarico di procuratore perpetuo del regno. Questi, diventato vedovo della sua prima moglie, si propose di entrare nella certosa ma, quando si trovava in cammino, san Bruno e san Vicente Ferrer lo fecero tornare sui suoi passi suggerendogli un nuovo sposalizio. La prescelta fu Juana Angela Eixarch, madre di Luís Beltrán, primogenito di nove fratelli. Venne al mondo in un’era benedetta da Dio con santi della taglia di Francisco de Borja, Pascual Bailón, Tomás di Villanueva, Juan de Riva ed i beati Nicolás Factor e Gaspar de Bono, tra gli altri. Teresa di Gesù aveva un anno di vita quando egli nacque.
Luís fu precoce nella sua virtù. Volendo emulare le vite di santi che leggeva, a 7 anni pregava e si mortificava dormendo in terra, esercizi ai quali aggiunse essendo adolescente la preghiera dell’Ufficio per i bimbi della Vergine e la recezione quotidiana della comunione. Ma portato dal suo zelo, un giorno lasciò la casa senza previo avviso per farsi mendicante, prendendo come modello san Alessio e san Rocco. Nell’ardente lettera che lasciò scritta ai suoi genitori aveva giustificato la sua decisione ricorrendo a numerose citazioni bibliche. Non arrivò lontano perché un domestico di suo padre lo sorprese nei paraggi di Buñol, mentre riposava ad una fonte. Ma più avanti, di nuovo tentò di entrare dai minimi. Nelle due occasioni sentì che Cristo lo minacciava facendogli vedere che quella non era la strada. A 16 anni peregrinò a Santiago di Compostela. Ritornò con la risoluzione di farsi domenicano, ma i suoi genitori non glielo permisero, fino a che nel 1544, avendo 18 anni ed una delicata salute, prese l’abito. Nel 1547 fu ordinato sacerdote.
Nel 1549, data la sua virtù, fu famoso maestro di novizi e di studenti del convento di Valencia. Fu un formatore eccezionale, fedelissimo alla regola domenicana. Insegnò con fermezza e carità le eccellenze dell’umiltà e dell’obbedienza. Scrupoloso e tendente ad un certo scoraggiamento circa la possibilità di raggiungere la santità che si proponeva, molte volte viveva preso dall’afflizione, e in alcune occasioni lo trovarono piangendo: “Non ho abbastanza da piangere, se non so se devo salvarmi?”. Nel suo cuore continuava a crescere lo stesso anelito di spargere il suo sangue per Cristo. Per questo motivo quando un indio -proveniente da Nuova Granada, attuale Colombia, che si era convertito ed abbracciato al carisma domenicano- visitò il convento ed espose prolissamente le difficili esperienze che aspettavano i missionari che andavano ad evangelizzare il paese, non si alterò. Era disposto a partire subito, credendo che la fierezza degli indigeni l’avrebbe aiutato ad ottenere la palma del martirio. A niente servì la supplica dei fedeli che l’avevano in alta stima e non volevano staccarsi da lui, né il gesto del suo superiore che, vedendo la situazione che la notizia della sua partenza creava nell’ambiente, gli annunciò che non gli avrebbe fornito i mezzi per intraprendere il viaggio. Non ci fu modo di fermarlo.
Nel 1562 partì per le missioni con rotta verso Nuova Granada. Come apostolo non ebbe frontiere. Non ci fu nella sua vita qualcosa che lo spaventasse di più che l’offendere Dio. La santa paura che lo muoveva era al di sopra di tutto, di modo che affrontò le fiere che trovò nella foresta, la violenza e l’ostilità degli uomini, beveraggi tossici, mortali di necessità, che bevve deliberatamente sapendo quello che faceva col fine di convertire gli indigeni, etc. Niente lo fermava: abbatteva gli idoli e bruciava le capanne dove li adoravano. Scacciava il demonio con la preghiera, il segno della croce ed ogni tipo di penitenze. Così superò dubbi e tentazioni diverse. Denunciò gli abusi di spagnoli senza scrupoli, e passò al di sopra di calunnie, sapendo discernere le visioni celestiali da quelle maligne che tentarono anche di confonderlo in non pochi momenti. “Non tutto si deve portare in questa vita per amor di giustizia: qualcosa si deve soffrire per amore di Dio”, diceva.
La preghiera e le discipline erano gli antidoti contro la sua cattiva salute e l’estenuazione. Si curò il giusto, quello che esige la prudenza. E le grazie si versavano a fiumi. In pochi anni i convertiti e battezzati erano innumerevoli. Gli anticamente feroci indigeni lo volevano, lo rispettavano e lo difendevano. Avevano imparato al suo fianco il valore della fede: “Fidiamoci di Dio; invochiamo i suoi santi, preghiamo devotamente, chiedendo quello di cui abbiamo bisogno; e senza dubbio Egli ci ascolterà”, l’avevano sentito dire, constatando le benedizioni che si spargevano. Nel 1568 lo nominarono priore del convento di Santa Fe di Bogotà, e non nascose il suo dispiacere: “Io non venni nelle Indie per essere priore. Stimo più la conversione di un indio che quanti onori ha la Chiesa di Dio, ma è giusto obbedire.”
Nel 1570, dopo avere evangelizzato in numerosi luoghi del paese, lo richiamarono a Valencia dove continuò a custodire la regola col suo esempio e la parola. Nel 1574 il capitolo generale dell’Aragona lo designò predicatore generale. “Non ritornate indietro, per molte difficoltà che il demonio vi metta durante il tragitto di Dio. Perché, dove voi mancherete, Dio supplirà”, affermava incoraggiando la gente, con uno stile semplice, lontano da retoriche, cercando di fare in modo che tutti lo capissero “affinché risplenda la verità, senza colore né rada, senza aiuto di eloquenza e sapere umano”. Ebbe il dono di discernimento di spiriti, di lingue e di miracoli. Era stato un grande studioso, una volta che Cristo gli fece vedere che lo studio non era una distrazione. Fu consultore di san Juan de Riva e di santa Teresa di Gesù. Gli fu rivelata la data della sua morte che annotò in una foglia conservandola sotto chiave con l’indicazione di aprirla giorni dopo il suo decesso. Questo avvenne il 9 di ottobre di 1581 nel palazzo del suo amico, l’arcivescovo san Juan de Riva.
Paolo V lo beatificò il 19 Luglio 1608. Clemente X lo canonizzò il 12 aprile 1671. Alessandro VIII lo nominò patrono della Colombia.
© Isabel Orellana Vilches, 2018
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