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Santo

San Gregorio Barbarigo, 18 giugno

By 17 Giugno, 2024No Comments
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“Grande vescovo e cardinale, riformatore del clero e promotore della fede. In due occasioni avrebbe potuto essere eletto pontefice, ma rinunciò a quella missione tanto importante. Giovanni XXIII ammirò profondamente le sue numerose qualità e virtù”

Che Giovanni XXIII riflettesse sulla sua grandezza umana, intellettuale e spirituale la dice tutta. La sua vasta cultura scientifica e letteraria, come la conoscenza della realtà storica ed ecclesiale del suo tempo, gli permise di affrontare con rigore aree diverse. Essere poliglotta gli facilitò un largo accesso a molte persone. Ma, al di sopra di queste ed altre molte qualità che possedeva, il “papa buono” sottolineò l’essenziale: “Coltivò innanzitutto un spirito squisito di santità autentica, purissima che gli permise di conservare l’innocenza battesimale e crescere anno dopo anno nell’esercizio delle virtù sacerdotali più alte ed edificanti […] una fede che lo mise in guardia contro le sottigliezze del quietismo e del gallicanesimo, una fiducia in Dio che gli rendeva familiare l’elevazione continuata del suo spirito verso Gesù, mediante giaculatorie continue come dardi d’amore, una fortezza imperterrita in circostanze angosciose che gli fecero dire col pugno chiuso sul petto: ‘colore di porpora, colore di sangue; e che questo vi dica che per la giustizia e per il buon diritto di Dio io sono disposto a sacrificare la mia vita’. Una carità infiammata di padre e di pastore sviluppata nelle forme più abbondanti e varie della donazione di un grande cuore di uomo insigne e di sacerdote venerabile.”  

Nacque a Venezia, Italia, il 16 settembre 1625 nel seno di una famiglia aristocratica di origine dalmata. Fu il primogenito di quattro fratelli. Suo padre Gianfrancesco era senatore della Repubblica. Ancora bambino perse sua madre, e il padre si occupò personalmente che ricevesse un’accurata educazione spirituale ed intellettuale. Fece di Gregorio un uomo competente, sincero, responsabile e fedele. Seminò nel suo cuore il seme della fede includendo nel suo catechismo quotidiano la preghiera e la comunione, pratiche che andarono impregnando la sua vita. Molto giovane entrò nella carriera diplomatica. Fu segretario dell’ambasciatore di Venezia e insieme a lui intervenne nel 1648 nel Trattato di Vestfalia integrando la squadra di coloro che misero fine alla guerra dei Trenta Anni.

Il suo amico Fabio Chigi, poi papa Alessandro VII, lo spinse al sacerdozio. Condividevano la preghiera e si scambiavano anche le loro impressioni; studi ed affanni elevati erano tema comune. Gregorio fuggiva dalla compagnia di comici. Aveva l’opportunità di andare a teatri, a festival…, ma sceglieva la lettura di profonde opere come quella del gesuita padre Hayneufe. Chigi gli regalò un esemplare dell’“Introduzione alla vita devota” di san Francisco de Sales ricordandogli che in lui entrambi avrebbero trovato la fonte per stimolare la loro volontà incendiando il lor cuore.

Terminati i suoi studi a Padova, come avevano convenuto, fu ordinato sacerdote. Due mesi più tardi, l’appena acclamato pontefice lo chiamò. Mise nelle sue mani alte missioni, tra le quali, essere prelato della Casa Pontificia. Nel trascorso dell’epidemia di peste bubbonica capeggiò il campo di operazioni stabilito a Trastevere su indicazione di Alessandro VII. Senza potere evitare la paura che gli produsse inizialmente il trovarsi tra i lebbrosi, estrasse dalla preghiera la sua forza ed esercitò un lavoro mirabile. Si prodigò curando i malati e consolò coloro che perdevano i loro cari, occupandosi perfino di seppellire i morti.

Nel 1657 fu designato vescovo di Bergamo. Accettò dopo avere officiato la Santa Messa per chiarire la volontà divina al riguardo. Arrivando nella sua nuova sede mise un segno che denotava la sua impronta apostolica ed onestà evangelica. Determinò che il denaro destinato a finanziare la sua accoglienza fosse donato interamente ai poveri. Egli stesso si distaccò dai suoi beni e li ripartì tra loro. Semplice e straordinariamente vicino condivideva coi parrocchiani la sua fede e le vivande nelle sue case furono scelte o umili. Carlo Borromeo, per il suo zelo riformatore, e Francesco di Sales per la sua dolcezza furono i modelli che tenne in conto. “Lavorare bene e soffrire il male è il pane di ogni giorno di tutti i servi di Dio, ma soprattutto dei vescovi”, diceva.

Nuovamente Alessandro VII lo reclamò e dovette tornare a Roma. Ad ogni costo avrebbe voluto sbarazzarsi della missione che lo trattenne lì un anno e ritornare alla sua diocesi. Ma nel 1664 il papa lo trasferì a Padova per essere il loro vescovo. I parrocchiani di Bergamo salutarono con l’afflizione di coloro che già vedevano la sua santità. Anche egli partiva con un sentimento di dolore per i “scandali” e le debolezze che constatò a volte, senza sapere sempre come affrontarli debitamente. Alludendo a quelli che erano carcerati per queste debolezze, diceva: “Questi fratelli sono le mie angosce, i miei mali, queste mie lacrime”. A Padova continuò a dare impulso alla formazione dei bambini e dei giovani, percorse uno ad uno tutti gli angoli della diocesi, creò stampe attraverso le quali forniva alla gente letture formative; fu un apostolo instancabile del vangelo. Lì completò la riforma del clero e dei fedeli intrapresa a Bergamo.

Sotto la sua egida pastorale, i seminaristi e sacerdoti ricevettero una preparazione eccezionale. Non misurò sforzi affinché avessero i migliori mezzi materiali, con un nuovo seminario, e i migliori mezzi umani ricorrendo ad esperti professori di altri luoghi. Confidò al suo amico il granduca Cosimo III: “Il seminario è l’unica diversione che trovo tra le spine del governo episcopale”. Fu artefice di istituzioni benefiche, scuole, e centri per lo studio delle lingue. Nel 1667 il papa lo nominò cardinale. Due volte avrebbe potuto essere scelto pontefice, ed in entrambe rinunciò. Fu un grande promotore della fede, dell’unità delle chiese, e fondatore della Congregazione degli Oblati dei Santi Prosdocimo e Antonio, a Padova. Disse sempre: “Un vescovo non deve sapere quello che è il riposo”; Diede grandi prove di ciò. Morì il 17 giugno dell’anno 1697 a Padova.

Clemente XIV lo beatificò il 6 giugno 1771. Giovanni XXIII lo canonizzò il 26 maggio 1960.

 

© Isabel Orellana Vilches, 2018
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