“La sua vita fu una permanente catechesi per coloro che conobbero questo santo catalano, modello di umiltà. Era povero con i poveri esercitando una mirabile carità con i malati, gli indigenti, i reclusi, i militari e i bambini, tra gli altri”.
Dio concesse molti doni a questo santo nato a Barcellona (Spagna) il 6 maggio 1650. Tra gli altri, quello della direzione spirituale e quello della penetrazione di cuori. Era un maestro nella coltivazione della povertà e della orazione che effettuava prostrato per ore davanti al Santissimo Sacramento. La sua pietà era manifesta, essendo chierichetto e cantore nella chiesa di Santa Maria del Mar di Barcellona. Tanto è vero che i sacerdoti gli pagarono gli studi. Morendo suo padre, sua madre contrasse nuove nozze. Ma quando Gertrude si ritrovò vedova per la seconda volta, incontrarono serie difficoltà. Sicuramente i suoi benefattori avevano tenuto conto di questa precaria situazione familiare. Era tale il candore di Giuseppe che senza dubbio era chiamato ad essere un grande santo. L’unico problema che dovette affrontare mentre era studente fu la paralisi di una delle sue gambe che l’obbligò a rimanere immobilizzato a letto per un certo tempo.
Poi, dopo aver ottenuto il dottorato in filosofia ed in teologia, ricevette il sacramento del sacerdozio nel maggio del 1676 nella località di Vich. Allora orientò la sua azione ad educare i giovani. In un momento dato, Dio gli permise di osservare parte della sua anima. Rimase tanto impressionato da quello che vide che prese la risoluzione di vivere con spirito di penitenza e digiunare tutti i giorni. In quell’epoca si trovava al servizio della famiglia Gasneri come precettore dei figli, mentre era anche parroco a San Filippo Neri. Accettò temporaneamente il lavoro allo scopo di alleviare le difficoltà che attraversavano sua madre e i fratelli. Ma era un uomo che amava la povertà. Gli costava molto trovarsi circondato di abbondanza come quella che vedeva nella casa Gasneri.
Un giorno in questo domicilio si produsse un episodio scioccante per lui dal punto di vista spirituale. Nel corso di un pranzo in tre occasioni stese il braccio per provvedersi di alcune squisite vivande, e si vide ostacolato da una forza soprannaturale nel cercare di raggiungere il suo proposito. Interpretò il fatto come un invito a sottomettersi per sempre al più rigoroso digiuno. Non smise più per il resto della sua esistenza. Si alimentò di pane e acqua. Il pane, scelto da lui tra il meno appetitoso – se poteva trovarlo vecchio e passato, meglio -, e si riforniva dell’acqua alle fonti pubbliche che trovava di passaggio. L’unica licenza che si permetteva era aggiungere le domeniche alcune erbe a tanto frugali pasti, e le otteneva gratuitamente prendendole dal pendio del monte Montjuic. Visse sempre della beneficenza; il poco che aveva era dei poveri. Tanta era la sua austerità che non possedeva neppure un letto.
Questi gesti di pietà e le sue mortificazioni, insolite per la maggioranza della gente, erano ben conosciuti nella città. Con le sue maniere squisite e la profondità del suo consiglio incoraggiava tutti a vivere la santità, insegnando loro che non si basa su atti puntuali esterni e che deve scorrere appoggiata nella preghiera. Quelli che a lui si avvicinavano ripartivano edificati per la sua allegria e fiducia. Era datore di pace. In se stesso, il suo esempio costituiva già una catechesi permanente. Vedendo come agiva, si innamoravano di Dio. Era il suo migliore apostolato. La testimonianza entra sempre nel cuore delle persone.
Non arrivò a compiere una decade con questa famiglia agiata, perché morì sua madre, ed i suoi fratelli si trovavano in una situazione economica meno compromessa. Vivendo poveramente, come sempre fece, intensificò il suo lavoro caritatevole. Soccorreva i malati, gli indigenti, i reclusi, i militari, i bambini… Nel 1686 andò pellegrino a Roma. Nei mesi di permanenza nella Città Eterna, alla quale arrivò con lettere di raccomandazione che lodavano la sua grandezza umana e spirituale, raggiunse il suo sogno di avere un incontro con Innocenzo XI. Amici cardinali lo resero possibile. Il papa gli concesse una prebenda nella parrocchia di Santa Maria del Pino di Barcellona. In essa esercitò la sua azione pastorale con abbondanti frutti. Ma non gli mancarono detrattori. Portarono le loro lamentele al vescovo e l’accusarono davanti a lui di imporre alle penitenti mortificazioni come le sue.
Alla morte del vescovo, che vietò il suo lavoro apostolico, proseguì nelle mani del suo successore. Ad ogni modo, Giuseppe volle essere ardentemente martire. Per questo motivo, nell’aprile del 1698 partì per Roma di nuovo, nonostante il clamore delle genti che temevano di perderlo e cercarono di dissuaderlo affinché rimanesse tra loro. Egli pensava che avrebbe ottenuto dalla Santa Sede la grazia di potersi incamminare verso il martirio. Ma la volontà divina fu che si ammalasse a Marsiglia, e la Vergine gli fece vedere che doveva proseguire la sua missione a Barcellona assistendo i malati.
Benché Dio operasse numerosi prodigi per la sua mediazione, li attribuì sempre al pentimento che mostravano coloro che gli aprivano il loro cuore. Faceva loro vedere che erano guariti direttamente da Lui. Umile e semplice, respinse con forza qualunque tentativo di considerarlo artefice di segni straordinari. Fu premiato col dono di profezia, di levitazione, e di miracoli. Dio gli concesse di guarire i malati con una semplice benedizione. Un’immensa folla che procedeva non solo da Barcellona ma anche da altri luoghi, si affollava intorno a lui sperando di ricevere l’aspersione dell’acqua benedetta ed il segno della croce tracciata su di loro.
Alcuni dei suoi numerosi miracoli furono memorabili. Due in particolare richiamano l’attenzione. Un giovane che stava per vedere la sua gamba amputata ottenne che recuperasse la gamba incancrenita. E quello operato con un malconcio paralitico che viveva dell’elemosina dei parrocchiani e che poté camminare improvvisamente. Giuseppe vaticinò anche la sua morte che avvenne il 23 marzo 1702 a seguito di una pleurite quando aveva 52 anni. I suoi ultimi istanti trascorsero in una stanza che gli prestò un coltellaio. Si trovava circondato dalla gente del quartiere che tanto affetto gli professava, da amici sacerdoti e secolari. Il coro di voce bianche della cappella del Palau cantava in quel momento, come egli aveva chiesto, lo Stabat Mater.
Pio VII lo beatificò il 21 settembre 1806. Pio X lo canonizzò il 20 maggio 1909.
© Isabel Orellana Vilches, 2018
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