“Padre della Chiesa, un uomo di eccelsa virtù e grande talento. Eloquente oratore; per questo fu chiamato “bocca d’oro”. Pio X lo proclamò patrono dei predicatori e Giovanni XXIII patrono del Concilio Vaticano II”.
È uno dei quattro grandi Padri della Chiesa cattolica, acclamato dagli ortodossi come uno dei più insigni teologi insieme a san Basilio e a san Gregorio. Crisostomo significa “bocca d’oro”, il soprannome che ricevette per la sua eccelsa forma di predicare, e che secoli più tardi indusse san Pio X a proclamarlo “patrono dei predicatori”. Era originario di Antiochia di Siria dove nacque a metà del secolo IV. Suo padre, ufficiale dell’esercito imperiale, morì poco dopo la sua nascita, e fu la sua pia madre Antusa colei che si occupò di educare lui e un’altra figlia maggiore. Andragatio ed anche Libanio che era già un prestigioso oratore, l’introdussero nella conoscenza della filosofia e della retorica. La sua eloquenza che era un dono naturale, lo rendeva adatto ad aspirare ad una carriera di successo come avvocato o politico. Così lo considerò Libanio riconoscendo che il suo formidabile allievo l’aveva superato. Ma Giovanni seguì un’altra strada investendo quella grazia che Dio gli aveva concesso, proprio per dargli maggiore gloria.
L’anno 368 ricevette il battesimo dalle mani del vescovo Melezio, che influì decisivamente nella sua vita. Egli lo nominò lettore e si occupò di istruirlo lasciandolo preparato per il sacerdozio. Nel frattempo, il santo riceveva lezioni dal famoso Diodoro di Tarso, un brillante esegeta che impartiva lezioni ad un gruppo selezionato di giovani ad Antiochia; alcuni di essi furono prelati. Nel 374, morta già Antusa, Giovanni intraprese un’esperienza eremitica sul monte Silpio, a sud di Antiochia. Furono intensi anni comunitari, ed uno di stretta solitudine, accumulando vivenze di incalcolabile valore, abituato ad ascoltare la voce di Dio nel silenzio, appropriandosi della Scrittura, particolarmente preso dalle lettere paoline. Allora si trovava all’equatore della sua vita. Per ragioni di salute poté sopportare solo questo tempo di severa ascesi e penitenze. Era provvidenziale. Il veto che gl’impose il suo organismo, obbligandolo ad abbandonare la montagna nell’anno 381, gli aprì le porte della sua vera vocazione. Poco tempo dopo, Melezio l’ordinò diacono. E l’anno 386 ricevette il sacramento del sacerdozio dalle mani del vescovo Flaviano che lo designò predicatore, missione che svolse mirabilmente per dodici anni.
La sua rigorosa preparazione e vasta cultura, unite alla sua fede e dedicazione, impregnavano i suoi profondi commenti attraverso i quali induceva i fedeli a vivere in conformità al vangelo, lontano dalla depravazione e dai vizi morali. Molti di essi sono raccolti nelle “Omelie”; alcuni li dedicò a quelli che abbatterono le sculture imperiali come misura di forza contro i governanti che non lasciavano loro respirare con abusive imposte. È anche autore di numerosi trattati e lettere. L’anno 397, alla morte di Nettario, patriarca di Costantinopoli, fu proclamato suo successore contro la sua volontà. Tanto sentì la sua partenza Antiochia che dovette partire scortato per evitare il tumulto delle genti. Questo virtuoso dell’eloquenza si guadagnò il popolo lentamente con le sue accese esortazioni a vivere la virtù. Lottò con coraggio contro gli ariani. Molti peccatori ed eretici si convertivano sentendosi ritratti nelle sue parole con le quali avvisava della gravità dei vizi e degli errori nei quali incorrevano. Le due lunghe ore che normalmente duravano le omelie sembravano un attimo; in esse esigeva e denunciava allo stesso modo che istruiva. Alle persone che non avevano falsità e mostravano disposizione al pentimento diceva loro: “Se siete caduti nel peccato più di una volta, ed anche mille volte, venite a me e io vi curerò”. Non seguiva lo stesso criterio con gli impenitenti.
Aveva un’anima monastica; conosceva i pericoli di una contemplazione puramente teorica quando quello che si tratta è incarnare Cristo. Si preoccupò della formazione di persone di tutte le età, denunciò gli abusi del clero e riformò i suoi costumi. Mirava abile al cuore ed incoraggiava la vita spirituale della gente, specialmente dei poveri, che aiutava a calmare le loro carenze materiali. Fondò ospedali, promosse comunità tra donne di fede e diede impulso anche all’evangelizzazione di altre città. Viveva l’orazione continua: “Niente è meglio che l’orazione e il colloquio con Dio…. mi riferisco, è chiaro, a quella orazione che non si fa per routine, bensì di cuore, che non rimane circoscritta ad alcuni determinati momenti, ma si prolunga senza cessare giorno e notte”. Era abbracciato alla croce. La sua vibrante difesa della verità e le aperte critiche all’ostentazione e ad altri eccessi che scopriva in una parte del clero ed in certi nuclei di potere gli procurò molti problemi.
La diplomazia non era uno dei suoi punti forti. Franco e diretto si guadagnò oppositori che perseguivano interessi diversi da quelli evangelici, fuggendo dall’esigenza che predicava. In particolare Teofilo, il patriarca di Alessandria, e l’imperatrice Eudossia, moglie di Arcadio, alzarono malevole accuse di tradimento contro di lui che non erano altro che una grossolana vendetta per le conseguenze dei suoi sermoni che non li beneficavano. Il Sinodo della Encina convocato l’anno 403 sanzionò il suo caso, ed un gruppo di vescovi capitanati da Teofilo e con la connivenza di Eudossia proclamarono il suo esilio. Dopo il suo pronto richiamo nella sede di Costantinopoli da parte di Arcadio, nuovamente le sue avvertenze pastorali all’imperatrice attrassero la sua ira e fu inviato a Cucuso, vicino all’Armenia. Da lì continuò redigendo preziose lettere pastorali. Il papa Innocenzo I lo consolò e mediò affinché fosse richiamato, ma le sue gestioni non ebbero eco. Giovanni non arrivò mai a Pizio sul Ponto che sarebbe stata la fine del suo tragitto. Nel corso del viaggio a marce forzate che intraprese da Cucuso, trovandosi a Comana, regione del Ponto, morì il 14 di settembre dell’anno 407, festività dell’Esaltazione della Santa Croce, bisbigliando: “Gloria a Dio in tutto.”
© Isabel Orellana Vilches, 2018
Autora vinculada a
Obra protegida por derechos de autor.
Inscrita en el Registro de la Propiedad Intelectual el 24 de noviembre de 2014.
________________
Derechos de edición reservados:
Fundación Fernando Rielo
Hermosilla 5, 3° 28001 Madrid
Tlf.: (34) 91 575 40 91 Fax: (34) 91 578 07 72
Correo electrónico: fundacion@rielo.org
Depósito legal: M-18664-2020
ISBN: 978-84-946646-6-3