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Santo

San Ezequiel Moreno y Díaz, 19 agosto

By 18 Agosto, 2024No Comments

“Prelato spagnolo, agostiniano recolletto. Fu apostolo nelle Filippine, Colombia ed Ecuador. Canonizzato alla chiusura del V° centenario della evangelizzazione dell’America. Giovanni Paolo II lo mise come modello di missionario e vescovo. E’ patrono dei malati di cancro”.

 

Nato ad Alfaro (La Rioja, Spagna) il 9 aprile 1848. Era il secondo maschio e terzo dei sei figli del sarto Félix Bruno e di sua moglie Josefa Díaz. Nella sua infanzia aveva già chiaro che si sarebbe fatto frate, risposta che diede alla solita domanda che si fa ai piccoli circa quello che desiderano essere da grandi. Arguto e simpatico risolse in un secondo il commento giocoso che fecero con allusione alla statura che aveva allora, perché, nella sua innocenza, lo sveglio ragazzo presupponeva già che non ci sarebbe stato niente che gli avrebbe impedito di compiere il suo sogno: “Mi metterò un cappello a cilindro per essere più alto”. Accompagnava sua madre al rosario dell’aurora e condivideva la pietà della casa; fu chierichetto e sagrestano delle domeniche. Aveva buone doti per la musica; gli venivano bene il canto e l’arpeggio della chitarra. Soprattutto, anteponeva alle sue le necessità del prossimo.

Nel 1864, morto già suo padre e con una difficile situazione economica, seguì le orme di suo fratello Eustachio, entrando nel convento degli agostiniani recolletti di Monteagudo, Navarra; un anno più tardi professò. Poi si dispose a partire come missionario nelle Filippine. La spedizione formata da 18 religiosi arrivò a Manila nel 1870. Lì fu ordinato sacerdote nel 1871. Percorse Palawan, Mindoro e Luzón. A Mindoro era arrivato insieme ad Eustachio ingrossando il numero di coloro che dovevano evangelizzarla, svolgendo la missione di vicario provinciale dell’Ordine. Usò tutto il suo ardore apostolico, come fece sempre, fino a che la malaria l’obbligò a ritornare a Manila.

In quella feconda tappa filippina, incoraggiato dalla sua preghiera (è stato considerato “grande orante”), dalla devozione al Sacro Cuore di Gesù e a Maria, da un percorso pieno di digiuni e mortificazioni, dando segni inequivocabili della sua obbedienza e rinnegamento, esercitò la sua attività con tale zelo apostolico che le genti semplici che avevano sperimentato la sua vicinanza, disponibilità ed edificante testimonianza cominciarono a considerarlo come un santo. Amava la vita comunitaria e curava delicatamente tutto quello che contribuiva a rialzarla, avendo speciale attenzione per la liturgia. Nel 1885 nel capitolo provinciale fu designato priore del noviziato di Monteagudo e tornò in Spagna. I tre anni che passò lì, oltre a formare i novizi nello spirito dovuto, e continuare a predicare in modo instancabile, soccorse i poveri e i colpiti da successive epidemie di colera e vaiolo, molte volte a costo di privazioni sue e dei suoi fratelli.

Nel 1888 partì per la Colombia come volontario, integrando un nutrito gruppo di religiosi, convinto che Dio lo sceglieva per quella nuova missione. E ornò con la sua virtù altri cinque fertili anni di vita dedicata a Cristo. Andava con l’impegno prioritario di restaurare i pilastri dell’osservanza delle comunità del suo Ordine. A ciò si dedicò fino al 1894 senza smettere di inalberare la bandiera della fede. Fu prelato di Pinara e vicario apostolico di Casanare, luogo inospitale che evangelizzò passando al di sopra di difficoltà climatologiche e malattie, senza ascoltare le voci che tentavano di dissuaderlo affinché non arrivasse fin lì col fine di evitargli problemi. In mancanza di vocazioni, si prodigava moltiplicandosi, sentendo l’urgenza dell’amore.

Lasciò il luogo con l’afflizione dell’apostolo, in obbedienza alla sua nuova responsabilità come vescovo di Pasto nel 1895: “Mi tolgono da Casanare, padre Manuel, dove tanti meriti per il cielo si possono acquisire […] e mi trasferiscono a Pasto. Sia fatta la volontà di Dio! Qui, a Casanare stavo con voi e vivevamo come in comunità, per cui tutto mi diventava facile e sopportabile. Ma là, a Pasto, che vita tanto diversa mi si presenta! Vado da solo, e senza nessuno dei miei fratelli dovrò vivere lì. Mi getto nelle braccia di Nostro Signore”. Questa designazione lo mise in un religioso dubbio: “Sarò diventato indegno di soffrire per Dio, mio Signore?”. Ma non era così. Lì completò un altro dei calici del suo dolore. Era un prelato che metteva nelle sue lettere pastorali, molto seguite in quell’epoca, la difesa di quello in cui credeva, con l’unico scopo di mettere in chiaro gli impegni di un cattolico, al di sopra di adesioni politiche. Può essere che la sua affermazione: “il liberalismo è peccato” sia stata la più controversa. Naturalmente, fece correre fiumi di inchiostro tra i suoi critici e detrattori. Fu calunniato, perseguitato, vilipeso…, e visse perfino l’abbandono da parte dei suoi superiori. Anche monsignor Federico González Suárez, vescovo di Ibarra, intervenne giudicando l’ingerenza di Ezechiele in temi di quella diocesi.

L’ultimo scalino del suo incruento martirio fu un terribile cancro al naso diagnosticato nel 1905. Con esemplare fede ed interezza, confessò: “Mi sono messo nelle mani di Dio. Egli farà la sua santa volontà. Bisogna riposare in quello che Egli voglia fare. Quanto è consolatore tutto questo!”. Lui avrebbe continuato a stare vicino ai suoi fedeli. Ma i suoi superiori lo invitarono a ritornare in Spagna per essere operato. Gli dispiacque molto separarsi dalla sua diocesi. Volle unirsi a Cristo nella sua Passione, ed ebbe occasione di dimostrarlo quando dovette essere privato perfino dell’anestesia perché così sembrava convenire in un momento dato alla chirurgia. Le successive operazioni alle quali fu sottoposto, di alto rischio e spaventosa spiegazione tecnica, le superò in modo tale che il personale medico rimase impressionato da tanta eroica fortezza.

L’ultimo tratto di questo calvario ebbe luogo nel convento di Monteagudo, dove scelse di passare il resto dei suoi giorni, vicino alla Vergine del Cammino. In mezzo ad atroci dolori inchiodava i suoi occhi alla croce, e così morì il 19 agosto 1906.

Fu beatificato da Paolo VI il 1° novembre 1975, e canonizzato a Santo Domingo l’11 ottobre 1992 da Giovanni Paolo II che lo lodò come insigne missionario e pastore, modello nel V° Centenario dell’evangelizzazione dell’America che si stava celebrando.

 

© Isabel Orellana Vilches, 2018
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