Commento sul Vangelio del 3-12-2017, Prima Domenica di Avvento (Isaia 63, 6b-17.19b.64, 2b-7; 1Corinzi 1, 3-9; Marco 13, 33-37).
A molti di noi è successo di ricevere un messaggio nel cellulare quando stiamo conversando con qualcuno. Diamo allora un’occhiata per vedere chi chiama?
Probabilmente si. Questo è solo un piccolo sintomo di un problema molto maggiore che si denomina Attenzione Parziale Continua.
Siamo sottoposti a tanti stimoli ed informazioni che difficilmente possiamo prestare un’attenzione completa a qualunque cosa. Al contrario, cerchiamo di fare contemporaneamente tutto, dando alle persone o alle azioni che richiedono la nostra attenzione, solo una parte di essa che così rimane dispersa in tutti gli altri impegni. Di fatto, quel piccolo e pratico cellulare che hai nelle mani, somiglia ad una droga, quando reclama la tua attenzione, una ed un’altra volta.
Tuttavia, gli effetti più pericolosi dell’Attenzione Parziale Continua stanno nelle relazioni personali. La formazione di relazioni autentiche e salutari che siano durature, richiede sforzo, tempo ed attenzione diligente.
Stavo condividendo qualcosa di personale con un amico, ed improvvisamente egli mi interruppe per parlare con un’altra persona. Mi sorprese, ma mi resi anche conto nel suo viso distratto che mi aveva appena visto. L’incapacità del mio amico a concentrarsi su quello che stava dicendo mi aiutò a rendermi conto che anche la mia attenzione verso gli altri è sfocata. Questo incidente mi aiutò a vedere in un modo molto concreto la connessione tra la mia attenzione non disciplinata ed il mio fallimento nell’amare gli altri e Dio.
Una delle principali sfide nella nostra vita di orazione è il deambulare della nostra mente. Come può uno sperare di stare in relazione con un’altra persona quando la sua mente non è centrata sulla conversazione con lei? E quanto più importante è questo con Dio. Sicuramente, allora stiamo pronunciando il nome di Dio invano, nel lasciare che le nostre menti divaghino mentre gli chiediamo aiuto e perdono.
L’immaginazione è utilizzata dal diavolo come una delle sue armi più sottili: immaginare opere buone, immaginare opere cattive. Vari pensieri vengono ed inquietano l’anima, per cui smette di pensare sotto la luce di Cristo. Il diavolo tenta di far sì che l’uomo non mostri interesse in Dio e gli esprima il suo amore. Principalmente, lo persuade a ricordare i diversi difetti che ha commesso nella sua vita passata e recente.
È nella nostra mente dove più facilmente siamo portati al peccato. Pertanto, Gesù ci consiglia, in questo testo di oggi, di fissare l’attenzione sulla nostra area più vulnerabile, in modo simile a come un medico ci dà consigli preventivi su quell’aspetto della nostra salute che è il più debole. Perché la mente è l’area della nostra maggiore debolezza? Perché agisce da se stessa; procede in maniera rapida e senza grande sforzo, ed è attiva in qualunque momento o situazione. Pertanto, è molto più facile peccare nella mente che attraverso le azioni del nostro corpo. L’azione del corpo richiede tempo e sforzo, come l’interazione con gli altri. Di fatto, possiamo stare agendo in una maniera virtuosa, mentre contemporaneamente la nostra mente è avvolta in numerosi pensieri peccaminosi. Non c’è nessun testimone dei peccati che hanno luogo nella nostra mente e nessuno per correggerci. Pertanto, è della massima importanza lo stare attenti all’attività della mente.
C’è un effetto cumulativo nella nostra attenzione… o nella mancanza di essa. Nella parabola del Seminatore, il seme sparso durante il cammino non rimane lì, aspettando un altro giorno. Come dice il testo, gli uccelli vennero e se lo mangiarono. Non prestare attenzione a quello che è importante, ha delle conseguenze.
Sulla croce, nonostante la sua personale situazione di angoscia, Cristo prestò Attenzione Continua e Completa a te e alla tua salvezza. Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno (Lc 23, 34).
Nel racconto di Matteo della vita di Gesù, si riflette come Egli parla sull’orazione ed istruisce i suoi discepoli: Tu invece, quando preghi, entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà. (Mt 6:6).
In un saggio, la filosofa e mistica francese Simone Weil, scrive: L’orazione consiste nel prestare attenzione. Dopo aver letto quella frase, sentii correre attraverso di me come una scossa elettrica. Se l’orazione è realmente connessa alla nostra capacità di prestare attenzione, le implicazioni sono sorprendenti ed immense, specialmente nella cultura digitale multifunzioni e di rapido movimento del giorno d’oggi. Senza imparare a prestare attenzione, le nostre vite diventano sempre di più fratturate e perturbate.
Gesù andava molto presto di mattina ad un posto solitario per pregare, il che è un atto della sua attenzione sostenuta (Mc 1, 35). Pietro ed i discepoli lo seguono e lo interrompono, cercando di distrarlo con quello che la moltitudine vuole. Gesù ridona la sua attenzione a quello che realmente importa e dice: «Andiamocene altrove per i villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!» (Mc 1, 38).
Ma la capacità umana a prestare attenzione è sorprendentemente limitata. Questa capacità si stima in 120 bits per secondo. In termini pratici, questo significa che possiamo a malapena ascoltare due persone che ci parlano contemporaneamente. Sembra che siamo stati creati per seguire una persona alla volta in ogni momento. Questo è un esempio delle nostre limitazioni e debolezze, nonostante la nostra buona volontà ed onesti sforzi ascetici. Ogni professore ha sperimentato quanto facilmente si addormentano gli studenti quando spiega appassionatamente il tema più importante ed interessante della sua materia.
Tuttavia, non dobbiamo dimenticare la dimensione mistica dell’attenzione: L’Attenzione Completa Continua è un dono, con un obiettivo definito. Tutti abbiamo esperienza di questo dono gratuito come risposta al nostro sforzo ascetico, nel Raccoglimento Mistico. Con le parole del nostro padre Fondatore:
Il canone o costante del raccoglimento mistico è l’esistenza nella mente di un’attenzione abituale verso la santità col suo soggetto la Divinità. Questa costante dello stato unitivo della mente si caratterizza per l’apertura, fiducia, la donazione a Dio, che rende possibile che lo Spirito Santo vada infondendo la comprensione progressiva delle verità divine; cioè che l’intelligenza, lontano dalla fissazione della mente per ricreare o conservare qualcosa che si suppone religioso, abbia una vera disposizione alla cosa divina in maniera continuata, con l’animo di pensare, sentire e ricordare sempre il più vero, il più buono e il più bello della nostra mistica filiazione. (Concezione Mistica dell’Antropologia).
Come diceva Thomas Merton: La vita spirituale è, innanzitutto, una questione di stare sveglio. Il nostro padre Fondatore lo ha espresso ancora più chiaramente: La santità è continuare a progredire nella nostra coscienza filiale che non è solo attenzione, non è solo fruizione, bensì una vicinanza graduale a Cristo: Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me. (Ap 3, 20). Questo è il nostro vero risvegliarsi e la nostra autentica coscienza. Possiamo dire oggi, con Isaia: Ma, Signore, tu sei nostro padre; noi siamo argilla e tu colui che ci dà forma, tutti noi siamo opera delle tue mani.
Oggi cominciamo un nuovo anno liturgico. Il Vangelo ci ricorda che ci è stata affidata la responsabilità di curare la nostra vita e quella degli altri. Ancora di più, c’è un momento in cui dovremo rendere conto, quando saremo chiamati a contemplare la forma in cui viviamo la nostra vita.
Avvento significa semplicemente la venuta del Signore. È un momento opportuno per prestare attenzione alla sua prima venuta a Natale, affinché anche la sua presenza possa accompagnarci durante tutto l’anno, offrendoci fortezza, visione e vita.
Tuttavia, molti di noi sono ciechi alla sua venuta. Questa è l’essenza della prima lettura. La maggioranza di noi è addormentata, come il domestico posto alla cura della casa. Questa mancanza di coscienza della presenza di Dio è il risultato di cadere nell’automatismo dell’abitudine e della routine mortale. Ci abituiamo alle cose; come il domestico che si abituò all’autorità che gli fu affidata e diventò indifferente alla sua responsabilità. Molti di noi hanno acquisito l’abitudine di essere cristiani, missionari, la routine della Messa e dell’Esame di Perfezione.
La gratitudine è un antidoto contro la routine ed un mezzo potente per essere al corrente della presenza attiva di Dio impregnando ogni momento di ogni giorno. San Paolo si dirige ai cristiani di Corinto, nella Seconda Lettura di oggi, rallegrandosi che Gesù è già venuto e quello significa per la nostra vita quotidiana: Ringrazio continuamente il mio Dio per voi, a motivo della grazia di Dio che vi è stata data in Cristo Gesù, perché in lui siete stati arricchiti di tutti i doni
Anche noi dobbiamo dare grazie a Dio per tutto quello che Gesù ha portato e continua a portare nelle nostre vite, gli innumerevoli aiuti che ci dà per portare avanti una vita serena. Lo facciamo nel modo migliore se siamo costantemente coscienti della sua presenza e della sua azione attraverso le persone che ci circondano. Riceviamo aiuto da molte persone; la maggioranza di esse non le conosciamo, non le abbiamo mai viste.
Pensiamo, per esempio, a tutte le persone che, col loro lavoro, mettono a nostra disposizione gli alimenti che avremo in questo giorno. Dovremmo ringraziare Dio per tutto quello che Egli fa attraverso tanti fratelli e sorelle sconosciuti. Ogni volta che beviamo una tazza di caffè, pensiamo al gran numero di persone, molte di esse lavorando in condizioni opprimenti, che hanno portato quel delizioso sapore ed aroma incantatore nella nostra vita. Con quale frequenza do grazie a Dio? Con quale frequenza ringrazio per le loro vite? Perché attraverso di essi, l’amore e l’attenzione di Dio arrivano alla mia vita. E quanto più devo ringraziare per il regalo della fede ricevuta dallo Spirito Santo attraverso familiari, amici, nemici e la natura.
Sono i piccoli atti di amore e le allegrie che sperimentiamo ogni giorno quelli che ci permettono di entrare profondamente nel significato che ha, che Dio ci doni il suo Figlio unico, quello che celebriamo a Natale, nel presepe, tra i poveri. Gesù viene in ogni momento ed ogni volta che sperimentiamo allegria, amore, generosità e partecipazione. Ed anche quando affrontiamo una missione virtualmente impossibile e ci rendiamo conto che è un atto di fiducia divina verso una creatura debole.
La certezza del ritorno di Cristo ha un effetto purificatore su di noi. Fissando la nostra speranza in Lui, ci fa riflettere sulle nostre vite e stabilire e portare a termine le Sue priorità. Cristo è in cammino; ed Egli spera che siamo pronti.
Il messaggio del ritorno di Cristo offrì speranza ai credenti del primo secolo, specialmente nei momenti di persecuzione. Le ispirate parole di Paolo alla chiesa di Tessalonica continuano ad incoraggiarci con una potente affermazione: Non vogliamo poi lasciarvi nell’ignoranza, fratelli, circa quelli che sono morti, perché non continuiate ad affliggervi come gli altri che non hanno speranza. Noi crediamo infatti che Gesù è morto e risuscitato; così anche quelli che sono morti, Dio li radunerà per mezzo di Gesù insieme con lui. Non possiamo sorvolare sulle note di vittoria e di speranza contenute in queste parole. A causa della morte di Cristo sulla croce e della sua Resurrezione, Paolo considerò che la morte era stata vinta tanto completamente che ora può chiamarsi “sonno” ed è stata vinta in tale misura che la natura della sofferenza ha cambiato completamente.
L’Avvento ci richiama a scuotere la polvere della routine, dell’abitudine, dei costumi e lasciare che Cristo prenda vita nelle nostre vite, una volta di più.