di P. Luis Casasus, Superiore Generale dei missionari Identes
New York, 3 marzo 2019
Misioneras y Misioneros Identes
Ottava Domenica Tempo Ord.
Libro Siracide 27, 4-7; 1Corinzi 15,54-58; S. Luca 6, 39-45
1. Lo sguardo accusatore. Quando lavoravo all’università, conobbi una rinomata insegnante con una vera passione per la ricerca; irradiava entusiasmo ed era affascinante… quasi sempre. L’unica cosa che rendeva la vita difficile al suo fianco è che era sempre ansiosa di parlare delle sue esperienze e vantarsi dei suoi successi. In ogni momento, discuteva coi suoi colleghi e dava consigli non richiesti. Non aveva il minimo interesse per la vita e le opinioni degli altri, e molto meno nel riconoscere qualunque risultato degli altri.
Un giorno mi sorprese con un discorso furioso su quanto fossero competitivi ed egoisti i suoi colleghi, su quanto non si prestassero attenzione l’un l’altro e su come volessero sembrare sempre più intelligenti degli altri. La stavo guardando ad occhi spalancati. Mi sarebbe piaciuto domandarle se stava parlando di se stessa, ma mi morsi la lingua.
Ella non è l’unica ad avere questo atteggiamento. Uno dei modi di proteggere il nostro ego da una dura autocritica è proiettare negli altri la nostra personale caratteristica difficile da accettare. Ognuno di noi ha un punto oscuro: non riconosciamo che siamo invidiosi, impuri, ostili o egoisti. Possiamo vedere la pagliuzza nell’occhio di un altro, ma non riusciamo a vedere neanche una trave nel nostro occhio.
Forse possiamo rispondere alla domanda di Cristo: Perché osservi la pagliuzza nell’occhio del tuo fratello, mentre non ti accorgi della trave che hai nel tuo occhio? (Mt 7, 3)dicendo che non vediamo la trave nel nostro occhio perché è precisamente con quella trave minacciosa ed accusatrice che guardiamo l’altro.
Il nostro sguardo accusatore è uno degli esempi più distruttivi di quello che Gesù descrive come i frutti marci di un cuore che non è in dialogo con Dio: Quello che esce dalla persona è quello che la rende impura. Ci convertiamo in vittime, e rendiamo vittima il nostro prossimo quando accettiamo di essere prigionieri dei meccanismi, degli istinti che stanno sempre lì e che furono creati per raggiungere obiettivi molto differenti. Consideriamo, per esempio, il nostro Istinto di Felicità: Provare soddisfazione per aver fatto un buon lavoro non è la stessa cosa che ridicolizzare o degradare gli altri per sentire che sono superiore e potente.
2. La misura del buono e del cattivo. Mi piacerebbe condividere con voi un caso reale, l’esperienza di un giovane ed arrogante seminarista raccontata da lui stesso. Può aiutarci a considerare che non possiamo essere apostoli o guide spirituali se non ci svuotiamo della vanità e della superficialità di questo mondo. Solo della pienezza del cuore può parlare la bocca.
Quando ero un giovane e coraggioso seminarista, cominciai a lavorare in una scuola cattolica come responsabile della disciplina.
Era l’ultimo giorno dell’anno scolastico. Samuel, un bambino di dodici anni, aveva completato con successo il suo primo anno di scuola. Mentre attendeva di ritornare a casa, mi sedetti con lui e parlammo. Dopo pochi minuti di conversazione, apparve da quelle parti Miguel. Era un uomo di circa cinquant’anni, incaricato della pulizia e non avevamo mai avuto l’opportunità di salutarci. Era una persona semplice ed umile che non si faceva notare.
Mentre parlavo con Samuel, Miguel si occupava del suo lavoro, spazzando il piano e mantenendosi ad una certa distanza da noi. In quel momento, colsi l’occasione e cominciai a predicare al giovanetto di successo e fallimento. Gli dissi: Vedi quell’uomo? Quanto spreco di vita. Ha avuto l’opportunità di studiare e non ne ha approfittato. Probabilmente si è perso nella scuola secondaria, ubriacandosi in molte feste e perdendo il tempo con i suoi amici. Forse non avrà mai letto un libro in vita sua. Solo Dio sa a che cosa si dedica ora. Notai che Samuel raccolse il messaggio. Quel ragazzo aveva molto rispetto per me. Dopo tutto, io ero la figura religiosa e morale della scuola.
Quando ci stavamo alzando per andarcene, Miguel alzò lo sguardo e si avvicinò a noi. Sorrise e disse: Salve Padre! Sorrisi anch’io e gli dissi: Oh, Miguel, non sono ancora sacerdote. Sono un seminarista. Pensai dentro di me: Questo tipo non sa neanche che non sono ancora sacerdote. Ripensandoci più tardi, mi resi conto che non lo sapeva perché non mi ero mai disturbato a parlare con lui. Miguel continuò: Scusi, padre, non lo sapevo. Speravo che forse avrebbe potuto benedire la mia famiglia se avesse avuto un momento libero. Le ho mai mostrato una foto dei miei figli? Io risposi: No. Mai. Cominciò a frugare nel suo portafoglio, cercando una foto. Finalmente, ne trovò una. Me la diede e quello che vidi mi sorprese. Miguel e sua moglie erano bianchi. I loro figli non lo erano. Un bambino piccolo era afroamericano; una bimba era asiatica. Ed un altro bambino, nativo americano, era fisicamente handicappato. Non potevo credere a quello che stavo vedendo. Domandai a Miguel: Sono questi i tuoi figli? Egli disse: Sì, padre, sono belli, vero? Mia moglie ed io li abbiamo adottati tutti e tre. Siamo stati molto benedetti.
Tutto quello che potei rispondere fu: Non lo sapevo. In quel momento, sentii un nodo alla gola e pensai: Che idiota sono. Chi sono io per giudicare gli altri? Mi guardò e sorrise: Bene, magari l’anno che viene possiamo sederci e parlare qualche volta. Mi piacerebbe raccontarle la mia storia. Si allontanò e continuò a spazzare il piano. Avrebbe dovuto spazzare via anche me!
Probabilmente, Miguel non saprà mai l’impatto che ebbe nella vita di quel seminarista e nella vita di tutti i bambini che pregano per lui. È un buon esempio del compimento della Seconda Lettura di oggi: Perciò, fratelli miei carissimi, rimanete saldi e irremovibili, prodigandovi sempre nell’opera del Signore, sapendo che la vostra fatica non è vana nel Signore.
Quello che è certo è che oggi Gesù ci dice: Un albero si conosce dai suoi frutti. Ci sta insegnando non solo a “come giudicare correttamente”; ma piuttosto, ci ricorda che probabilmente l’albero del nostro prossimo non è stato irrigato perché potesse dare frutti abbondanti. Quale esperienza lasciò il segno più profondo nella sua vita? Quali erano le persone che l’hanno amato? Oppure, qual è il rimorso più grande di quella persona? Gesù ebbe il potere di resuscitare ai morti e guarire i malati. Ebbe anche il potere di attivare i doni e le migliori virtù nascoste di Pietro o Paolo. Se siamo i suoi discepoli, si aspetta da noi che irrighiamo pazientemente, potiamo, vanghiamo e concimiamo il terreno dei nostri simili. Come dice oggi la Prima Lettura, il frutto dimostra come è coltivato l’albero.
Lo Spirito Santo è sempre attivo… oltre le apparenze, e oltre le nostre limitazioni:
Nel vagone di un treno, una donna cercava disperatamente di calmare un bebè che non smetteva di piangere. Il bambino disturbava vari passeggeri, e alla fine una persona non ne poté più e disse: Non può far tacere quel bambino? La donna disse gentilmente: Sto facendo quello che posso. Il bambino non è mio. L’uomo gridò: E dove sta la madre del bambino? La donna rispose: Nella sua bara, signore, nel vagone dei bagagli che è davanti a noi. Gli occhi d’acciaio dell’uomo si riempirono di lacrime. Si alzò, prese il bebè tra le sue braccia, lo baciò, e si mise a camminare nel corridoio per consolarlo.
D’altra parte, dobbiamo poter discernere ed identificare i nostri punti oscuri, le nostre debolezze, principalmente il Difetto Dominante e la nostra mancanza di sensibilità, non solo per giudicarli, ma anche per aiutare il nostro rettore, e lo stesso Spirito Santo, a guidarci come buoni maestri di cui abbiamo sempre bisogno.
Tutti i grandi maestri spirituali consigliano di utilizzare tutti i mezzi possibili per progredire nel nostro cammino spirituale: Mediante tre metodi possiamo acquisire la sapienza: in primo luogo, attraverso la riflessione, che è il più nobile; secondo, attraverso l’imitazione, che è il più facile; e terzo attraverso l’esperienza che è il più amaro (Confucio).
La nostra crescita spirituale non si misura da quello che impariamo o sentiamo. Queste messe a fuoco intellettualiste o sentimentaliste assomigliano poco alla lotta di un vero discepolo.
Santa Teresa d’Avila ebbe molte emozioni e sentimenti spirituali e chiaramente imparò cose grandi ed utili nell’orazione, nell’imitazione di Cristo e nelle sue esperienze di vita, ma disse con una chiarezza eccezionale: Dobbiamo curare i fiori, le virtù, e vedere come progrediscono. Dopo tutto, l’acqua è per i fiori; la devozione non è l’obiettivo di una buona vita di orazione. È un mezzo per la crescita delle virtù. Se le virtù sono vive e fioriscono in noi, perfino in assenza di devozione e consolazione, allora la nostra vita di orazione è salutare nonostante la secchezza.
È specialmente attraente il “modo compatto” che usa il nostro Fondatore per esprimere questa verità in una delle sue Trasfigurazioni: L’amore è un trattato di virtù, mai di ragioni.
I nostri pensieri e le nostre parole sono il primo indicatore e il primo frutto della nostra vita spirituale. Questo è l’insegnamento della Prima Lettura di oggi: La fornace prova gli oggetti del vasaio, la prova dell’uomo si ha nella sua conversazione. Il frutto dimostra come è coltivato l’albero, così la parola rivela il sentimento dell’uomo. Non lodare un uomo prima che abbia parlato, poiché questa è la prova degli uomini. Quando le nostre parole sono arroganti, sarcastiche o superficiali, è difficile credere che stiamo vivendo nel raccoglimento e nella pace.
E, rispetto alle mancanze ed errori del nostro prossimo, dobbiamo ricordare quello che consiglia l’antica massima: Non possiamo condannare il peccatore, ma possiamo e dobbiamo condannare il peccato. Qui radica il problema della “tolleranza”, oggi tanto popolare: quando smettiamo di giudicare se le parole e le azioni sono buone o cattive, smettiamo anche di occuparci del significato del buono e del cattivo. Contrariamente a quello che la gente crede circa la tolleranza, essa non è riuscita ad unire le persone, né ci ha illuminati, né ha creato nessun tipo di pace. Piuttosto, come testimoniano le notizie attuali, la tolleranza ha fomentato la divisione e l’isolamento, ha promosso l’ignoranza, l’inquietudine e l’instabilità a tutti i livelli.
Un secondo indicatore della salute della nostra vita spirituale sono le azioni concrete, i piccoli e sempre nuovi gesti di generosità e perdono, nati dalla nostra unione con Dio: senza preferenze né distinzione di persone, in qualunque circostanza e in maniera incondizionata. Le opere di misericordia sono una dimostrazione delle azioni concrete che devono essere visibili nel nostro comportamento quotidiano. Molti di noi facciamo cose buone per ragioni mescolate, forse per dimostrare agli altri e dimostrare a noi stessi che siamo compassionevoli, ma solo un amore che sgorga dal nostro desiderio di glorificare Dio, può parlare della sua presenza e misericordia.
Se ci proponiamo di vivere in questo stato continuo di orazione e misericordia, specialmente quando siamo calunniati, ingiustamente accusati, malcompresi o perseguitati, solo allora potremo guidare e portare altri a Cristo. Questo spiega perché Gesù conclude il suo elenco di Beatitudini con questo segno supremo di fedeltà al loro spirito: Beati i perseguitati a causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli.
La vita dei santi e la nostra stessa esperienza, ci offrono un terzo indicatore preciso della nostra fedeltà: Quando cerchiamo di compiere pienamente la nostra missione, sia come sia, allora ci verrà affidato un compito nuovo e probabilmente più difficile. Questo va oltre la nostra vita puramente ascetica. Si tratta di un atto divino di fiducia che ci dice chi è Lui e chi siamo noi.
Sì; solo quando affrontiamo le tempeste della vita, particolarmente quando ci sentiamo defraudati, traditi, o quando le persone che amiamo si rivoltano contro di noi, abbiamo l’opportunità di dare una testimonianza unica di fiducia in Dio e di dire in modo forte col salmista: Signore, È bene ringraziarti. Niente ci succede senza la sua conoscenza e la sua provvidenziale sapienza.