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P. Jesús Fernández: “nostro padre fondatore ci esortava a lanciarci nella vita apostolica per amore di Cristo e della sua Chiesa”

By 2 Luglio, 2017No Comments

Pubblichiamo una selezione della lezione spirituale data da p. Jesús Fernández, Presidente dell’Instituto Id di Cristo Redentore missionarie e missionari identes, a Roma, in occasione del 58° anniversario della fondazione dell’Istituto.

Quella soleggiata mattina del 29 giugno 1959, dodici giovani uomini si presentarono, con il nostro Fondatore, anch’egli giovane, al vescovo di Tenerife, D. Domingo Pérez Cáceres. Chi era il più giovane di tutti loro? Si chiamava D. Fernando Rielo Pardal, funzionario delle poste, e riconosciuto da tutti come il loro fondatore. Questa persona, guidata da una fede imperturbabile, si offriva al vescovo per qualsiasi missione egli avesse voluto affidargli, specialmente se rivolta alla gioventù lontana o allergica alla Chiesa.

Nostro padre Fondatore era figlio del suo tempo. Il suo amore per le Persone Divine e per la Chiesa si alimentava del Vangelo, dell’orazione continua e dell’Eucarestia. Appassionato per crescere nella fedeltà a Cristo, la sua orazione unitiva si innalzava alla Santissima Trinità. Perciò ci diceva: “Vi interessa molto acquisire lo stato di supplica beatifica che, suprema espressione dell’unitiva orazione mistica, possa formare la vostra coscienza filiale, sposata con il Padre, concelebrato dal Figlio e dallo Spirito Santo, in tale grado che, segnata già in questa vita dalla gloria eterna, contempliate la terra dal cielo più che il cielo dalla terra”.

I primi missionari che accompagnavano nostro padre Fondatore in quella festività di san Pietro e san Paolo, erano sposati, per lo più funzionari di imprese private. Lui li assisteva, sia per cose materiali sia spirituali. La dolcezza e la fermezza, l’affabilità e il rigore, erano parte della formazione di questi primi missionari. Con la sua parola, il suo esempio e la sua autorità morale li sosteneva, li esortava e li correggeva con squisito amore.

Insegnava con semplicità ai primi missionari a non spaventarsi della parola santità e della parola conversione. Per essere santi non dobbiamo fare grandi cose e neanche avere la grazia di fenomeni straordinari. Conversione non consiste in altro che smettere di guardare se stessi e cominciare a guardare Dio. Così vedremo che lo sguardo di Cristo è uno sguardo d’amore, di affetto, di bene, di tenerezza, così come con tutti e, specialmente, con il giovane ricco. La parola conversione è contenuta nella parola seguimi. Alla chiamata di Cristo, devo rispondere senza vacillazione: “Sì, ti seguo”. E alla sua domanda: “Mi ami tu?”, devo rispondere senza dubitare: “Sì, ti amo; Tu sai tutto”. Con questo sì, si apre la nostra intelligenza ad una nuova visione, a un nuovo orizzonte. La conversione è uscire da un’esistenza egocentrica verso un’altra piena di generosità; da un volersi metter al centro e al di sopra di tutti a mettere Cristo al centro di tutto e che io resti come ultimo. La conversione ci conduce ad amare i nostri nemici, e a trattare bene quelli che ci odiano e ci perseguitano (Lc 27, 29). Alcuni diranno che è molto difficile, eppure occorre dire che non si tratta di fare grandi sforzi, ma di lasciare fare nel nostro cuore allo Spirito Santo che, con la sua forza, cambierà i nostri pensieri e desideri e ci darà l’autentica motivazione per realizzare la volontà di Dio, anche fosse molto difficile.

Agli inizi del suo arrivo a Tenerife, era noto anche per il suo apostolato personale, come ci narra nelle sue Leyendas de Amor: “Il mio apostolato personale si allargò con straordinaria rapidità. Si richiesero luoghi più grandi, nei quali si raccoglievano folle di gente assetata che davanti alla mia confessione di fede dava alla propria vita un nuovo indirizzo. In certe occasioni le parole furono confermate da emozionanti miracoli. Il vescovo mostrò interesse per questo movimento e, sotto la sua autorità, formai un gruppo di missioni popolari che percorse tutti i paesi dell’isola di Tenerife. Dal gruppo di missioni, il 29 giugno 1959, nacque l’Istituto del Missionari Identes.

Quante confessioni! Quante conversioni! Le chiese si riempivano di persone che volevano ricevere l’Eucarestia. Mi dedicai a Santa Cruz fino all’estenuazione. Le conferenze a operai e studenti producevano, in termini di folla, un’immediata manifestazione di grazia. Radunai attorno a me due movimenti, uno di carattere sociale e uno studentesco, fino a raccogliere circa duemila persone, piene di entusiasmo per la santità della Chiesa, che convinte del loro stato di grazia ricevevano la Santissima Eucarestia. Impossibile raccontare i problemi di tante anime. Posso solo dire che per giorni e giorni non riuscivo a toccare il letto e a calmare il sonno che mi bruciava. Guardavo l’alba marina insieme ad anime che con me piangevano d’amore per Cristo e perché vedevano nuovi divini orizzonti che presentavo loro, e facevano della loro esistenza una vita nuova segnata dalla fede, dalla speranza e dal godimento dei beni celesti”.

Si contraddistingueva per la promozione delle vocazioni nei loro differenti stati e nell’aiuto di giovani e adulti a seguire la strada che Cristo indicava loro. Non sappiamo quante lacrime gli sono costate la supplica al Padre per la nostra vocazione alla santità. Ci ha insegnato con la sua vita il valore della grazia, l’orazione supplicante e la chiamata del Padre ad essere guidati, più che a guidare; a essere obbedienti, più che a comandare; a pensare agli altri, più che a se stessi; a metterci tra gli ultimi e mai tra i primi. Era lui il primo esempio in tutto questo, perché straripava d’amore per il Padre e con una pace serena che, in mezzo a temporali e mari agitati, si è portato fino all’ultimo momento in Cristo e Maria sono venuti a cercarlo per ascendere con loro: “Tutta la mia vita – assicurava egli stesso – è stata quella di un mendicante filiale davanti alla porta della Gerusalemme Celeste”. Gli importava unicamente delle anime proprio per il suo immenso amore alla Santissima Trinità; da qui il suo vivere e trasmettere il Vangelo a tutti, uomini e donne, in ogni tempo e luogo, affinché fossero santi. Ci mostrava come il Vangelo non fosse un canto alla tristezza o alla nostalgia, ma all’allegria espressa nelle beatitudini.

Il nostro Fondatore ci ha poi anche insegnato a ragionare, a riflettere e argomentare sulle Sacre Scritture. Ci esortava a lanciarci, dopo avere pregato in silenzio davanti al Tabernacolo, ad arrischiarci la vita apostolica per amore di Cristo e della sua Chiesa. Dovevamo dunque uscire dalle nostre paure e angosce, cercando di risolvere i conflitti e le difficoltà, ricorrendo al Vangelo, unica fonte che poteva darci luce e chiarezza e trasmetterci la pace che Cristo dice che il mondo non la può dare (Gv 14,27).

Noi, missionari e missionarie identes possiamo dire che abbiamo conosciuto con il nostro Fondatore un uomo innocente come un bambino, con anima sacerdotale. Uscì dal convento dei Padri Redentoristi con la chiamata a rinunciare a tutto e a seguire il Padre con mistica coscienza filiale. Dodici uomini di virtù provata, di differenti ordini religiosi, approvarono che fondasse la nostra istituzione per vivere la santità per mezzo dell’esame ascetico e mistico. Non fu facile la fondazione. Trovò molti ostacoli interni ed esterni. Ci diceva, in tutta sincerità, che egli non possedeva le qualità, non solo spirituali o mistiche, ma neanche umane, per fondare e intraprendere la fondazione. Si sentiva molto debole e solo la forza di Dio lo manteneva vivo. Supplicava al Padre la grazia affinché coloro che si sarebbero avvicinati avessero fiducia. Osservava come fossero tanti i tanti giovani e uomini di cultura molto lontani dal credere e amare il Padre ma pur bisognosi del nostro carisma per la loro conversione e santificazione.

La logica della santità non segue la logica umana. Saliva e scendeva dalla scala quasi simultaneamente. Sembrava che salisse un gradino e subito scendeva di due. Sapeva che non poteva tornare indietro una volta messa mano all’aratro della fondazione. Solchi di sangue e lacrime resero fertile la terra che andava a fondare, e, come i grandi profeti dell’Antico Testamento, non vide mai del tutto la Terra Promessa in questa vita.

Sapeva che il Padre gli offriva sempre una soluzione rispondente alla sua volontà e non alla propria. La croce era per lui segno d’amore e di vittoria secondo le parole di Cristo: ” Io ho vinto il mondo” (Gv 16,33).

Nel settembre del 2004 lo vidi per ultima volta. Era stanco, molto stanco e con gli occhi brillanti, non di febbre, ma di lacrime di felicità al sapere che la sua istituzione usciva da un pozzo oscuro: la Santa Sede aveva riconosciuto l’istituto a livello diocesano come nuova forma di vita consacrata e i sacerdoti identes sarebbero stati incardinati nella nostra martire istituzione. Gli dissi: “Padre, ritorno a Roma. Vuoi qualcosa per le tue figlie e figli”? Mi rispose: “Che siano santi e che amino la Chiesa fondata da Cristo”. Gli dissi: “Padre, mi costa separarmi da te”. Mi rispose: “Anche a me. Sii docile allo Spirito Santo”. Mi guardò con molta tenerezza. Gli diedi quindi il bacio di un figlio al suo padre spirituale. Infine, mi disse: “Cura la carità. Non ti dimenticare mai che un giorno senza croce è un giorno vuoto dell’amore del Padre. Non riservarti nulla. Offri tutto”. Vidi nel suo ultimo sguardo la fecondità dello stare in Cristo. Il suo corpo, colmo di affaticamento e respirazione difficile, ospitava due occhi dolcemente penetranti, con la trasparenza e l’innocenza di un bambino.

A voi tutti va il mio affettuoso augurio in questo 58º Anniversario della Fondazione dell’Istituto, solennità di due grandi della santità, Pietro e Paolo, il cui alimento era fare la volontà di chi li aveva inviati, Cristo (Gv 4,34). Loro compirono la volontà divina che, a volte, ci risulta troppo dura e piena di croce, perché i piani di Dio non coincidono con i nostri. La nostra vita deve essere, a immagine di quella di Cristo, “cercare e compiere la volontà del Padre”. Così fu la vita del nostro padre Fondatore.