«Solo se metto Dio al primo posto, allora il fratello trova il suo posto.
E la prova che Dio è al primo posto è proprio l’amore vero per il fratello».
Nella settimana appena trascorsa si sono svolti i Motus Christi italiani per giovani e adulti, dove si è parlato del 5° punto del Codice Orazionale di Fernando Rielo: «Che la vostra orazione sia affettuosa». Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza. (Mc 12,30).
Di seguito una sintesi delle riflessioni fatte da Serena Manzi per i giovani ed Enrico Bayo per gli adulti:
Dio ti ha amato per primo, prima di essere corrisposto. Se non ti lasci amare, difficilmente potrai lascarti prendere da Dio. Chi vorrebbe essere amato con un pezzo di mente o un pezzo di cuore? Nessuno, perché il comandamento iscritto in noi è quello dell’Amore vero. E’ Dio stesso. «Amerai il Signore tuo Dio» non è un comandamento: è una necessità… Ci sta dicendo che il Signore è il tuo Dio. Ci dice: Ti ho messo nel cuore fin dalla nascita il comandamento dell’amore, della tenerezza e la piena felicità quando lo realizzi.
In realtà, la parola “affetto” significa proprio questo: è come se Dio dicesse io sono il signore tutto tuo. La parola affetto significa essere presi da qualcosa o da qualcuno: c’è quando sono stato catturato e preso e coinvolto completamente nell’amore per qualcuno. L’orazione affettuosa non è altro che corrispondere a questo amore. Amare dio con tutto il cuore, l’anima e la mente, affettuosamente, con affetto è come dire a Dio: «Mettimi come sigillo nel tuo cuore» (Cantico dei Cantici). E cioè: imprimimi su di te. Amare dio con tutto me stesso, integralmente, è volere che mi si imprima in tutte le cose che sono e che faccio.
Possiamo evocare, se volete, un momento straordinario di felicità che abbiamo potuto avere nelle nostre vite. Ma dobbiamo moltiplicare quella felicità, non per un milione, bensì per migliaia e migliaia di milioni di volte quella felicità. Non possiamo fermarci ai piaceri passeggeri di questa vita. La felicità è molto lontana dai piaceri e godimenti disordinati. Per avere un po’ di esperienza del cielo, sempre ci mancherà qualcosa, per molto che riusciamo ad utilizzare la nostra immaginazione e fantasia. Avere esperienza del cielo è essere incapaci di concepire – anche solo per un poco – quello che significa contemplare l’infinita tenerezza del Padre.
Ma non si tratta di “fantasticare”, bensì di fare le cose con immaginazione, con entusiasmo, con proiezione, sapendo che le Persone Divine sono dentro di noi, e pertanto, devono essere nei nostri pensieri, nella nostra immaginazione, nei nostri sentimenti. «Io vi dico allora – sognate, avete lo strumento della magia: il Vangelo. Fissate bene l’attenzione sul suo contenuto, sulla sua lirica, sul genio, anche giovanile, che Cristo pone a quelli di buona volontà […]». Come li aiuta, come li incoraggia; con quale familiarità. Per Lui non esistono giudizi: Non sono venuto a giudicare, bensì a salvare, a darvi la magia del cielo” (cf. Gv 12,47)».
Lo stato affettuoso dell’orazione è chiamato dal nostro Fondatore «tenerezza dell’amore», quella tenerezza alla quale era abituato fin da bambino col Padre: «Ricordo che, quando andavo a dormire, mio Padre Celeste mi dava un bacio sulla fronte lasciandomi in stato estatico. Mi sentivo esternamente addormentato, ma sveglio dentro, contemplando in modo ineffabile che il cielo era la mia unica casa alla quale ero destinato. Mi si ripeteva questo stato molte volte. Egli mi accompagnava, quando mi alzavo al mattino, nella mia pulizia, nella colazione, nella scuola, nei miei studi. Tutta la mia orazione si riduceva ad una sola parola: ‘Papà’. Questa parola infondeva nel mio cuore un’ immensa tenerezza», «Io faccio a Lui, con molta frequenza, questa domanda: “Quando sarò con te in cielo, in quel posto a cui mi hai attirato da bambino?”. E la sua risposta è stata: “Tu non devi venire in cielo perché il cielo è in te; il cielo è disceso con Me fino a te”. Allora percepisco nuove proiezioni, nuovi sentimenti che mi allontanano sempre di più dal mondo, e mi producono nuovi suggerimenti divini. Questa è la ricchezza del mio giudizio che qui non è altro che visione, contemplazione. E sento la sua promessa che non mi mancherà, neppure per un solo giorno, la notizia di questo mio focolare che è il cielo».