di p. Luis Casasús, Superiore Generale dei Missionari Identes
Commento sul Vangelo del 24-12-2017, Quarta Domenica di Avvento (2 Samuele 7, 1-5.8b-12.14a.16; Lettera ai Romani, 16, 25-27; S. Luca 1, 26-38).
Sir Isaac Newton, lo scienziato britannico che formulò le leggi del movimento e della gravità, si mostrò notevolmente umile man mano che la sua vita si andò spegnendo: Non so quello che posso sembrare al mondo, disse…. Ma in quanto a me stesso, mi sembra di essere stato nient’altro che un bambino che giocava sulla riva del mare e ogni tanto mi distraevo cercando un ciottolo più levigato o una conchiglia più bella delle altre, mentre il grande oceano della verità si stendeva completamente davanti a me in attesa di essere scoperto. Come era prevedibile, si stava riferendo alla sua ricerca della verità, il compito che riempì la sua vita. In un tono differente ed amaro, recentemente ci hanno informato che un conosciuto artista deceduto disse quando stava morendo: Quanto tempo perso! Infine, Richard Feynman, il famoso fisico, in un tono più umoristico, nei suoi ultimi momenti esclamò: Non mi piacerebbe morire due volte. È tanto noioso!
Indipendentemente delle credenze, risultati, temperamento e vita morale, la conclusione è la stessa: Nel bene o nel male, la nostra vita non sta nelle nostre mani. Ovviamente, questo può essere interpretato in molti modi:
– La vita non ha senso. La conclusione è impotenza, dolore e frustrazione.
– È troppo tardi per fare retromarcia; ho commesso troppi errori.
– Veramente ho paura del futuro; Perderò chi amo e le migliori cose della mia vita.
– Mi sento sollevato al pensiero di sapere che non sono solo.
… eccetera.
Nel caso di Maria, ella non ebbe bisogno di attendere la fine della sua vita o l’arrivo di una crisi orribile per giungere a questa conclusione. La sua umiltà contraddice l’arroganza e la bugia dell’autosufficienza che, dal Paradiso, inonda completamente la nostra vita come vediamo tanto intensamente oggi.
Di fatto, sappiamo che la vera umiltà non è solo un giudizio o un’opinione su di me, bensì un’apertura salutare alla nostra vera natura, una natura che possiede la capacità essenziale di avere esperienza positiva ed incrementativa di tutti i valori o virtù, indipendentemente dalla razza, cultura, religione e, perfino, dalla non credenza. (Cfr. Fernando Rielo, Concezione Mistica dell’Antropologia). Di fatto, questo è un’esperienza universale, già riflessa nell’Antico Testamento in molti modi, per esempio, come una presenza attiva e permanente della guida di Dio: Se giri a destra o sinistra, le tue orecchie ascolteranno queste parole dietro di te, ‘Questa è la strada, seguila’ (Isaia).
Il “sì” di Maria significava l’accettazione totale di cooperare col piano di Dio. È il “sì” che viene dalla fede e si trasforma in speranza, la speranza fiduciosa nella volontà di Dio. E questo è precisamente quello che spesso ci manca: la piena accettazione della volontà di Dio. La risposta di Maria è un atto di abbandono nelle mani di Dio, un atto che è possibile solo con una fiducia piena nel nostro Padre Celestiale e nel suo piano di salvezza. Questo è qualcosa che dobbiamo ricordare attraverso l’Eucaristia, il Vangelo e l’orazione continua. Ma anche attraverso la saggezza ispirata e la testimonianza di altre persone:
Ci fu una volta un rabbino onesto e molto conosciuto in Israele. Era abitudine dei ricchi assoldare delle guardie per vigilare le loro case di notte. Un pomeriggio, quando il rabbino uscì a camminare, incontrò una di quelle guardie davanti ad una casa camminando da una parte all’altra. Il rabbino gli domandò: Per chi lavori? La guardia rispose col nome del padrone ed elencò i suoi obblighi. A sua volta, la guardia domandò: Per chi lavori, Rabbino? Le parole della guardia colpirono il cuore del Rabbino. Il Rabbino poi rientrò e domandò alla guardia: Verresti a lavorare per me? La guardia fu d’accordo e chiese quali fossero i suoi obblighi. Il Rabbino rispose a voce bassa: Solo uno: continuare a ricordarmi quella domanda.
Maria ricevette la fede attraverso le vite dei suoi santi genitori, Anna e Gioacchino. La fede è un regalo di Dio a noi, attraverso le persone e le relazioni che formano il nostro carattere e l’identità; la piccola chiamata della nostra fede rimane viva grazie all’effetto sottile della testimonianza di persone che stanno vivendo vite sante, cioè, quelli che sono già santi, lo siano ufficialmente o no.
Questo è il nostro compito come missionari: incoraggiare gli altri, elevarli, ispirarli, rafforzare le buone qualità che vediamo in loro. Dando speranza e vita ad altri, anche noi ci riempiremo dell’allegria del Vangelo. Questo è quello che il nostro padre Fondatore chiama la virtù dell’onore, la forma più appropriata di carità per il vero apostolo. Incoraggiare significa anche sfidare altri ad essere le migliori persone che possano essere, essere il tipo di persone che Dio vuole che siano; faremmo bene a domandarci sempre a che cosa possiamo rinunciare per aiutare ed arricchire gli altri con la nostra povertà.
Né ci occorra pensare che questo è possibile solo con la nostra buona volontà, la nostra esperienza e la nostra conoscenza: il rinnegamento è la pietra angolare, la condizione decisiva affinché ci venga affidata questa missione. [Ci verrà affidata] solo quando ci rendiamo conto che il rinnegamento è un cammino, e che dobbiamo cominciare con temi concreti e specifici nostri, perché quella piccola cosa nel tuo cuore, venendo da Dio, quello che è possibile ed è alla portata di oggi, non sarà lì domani. I nostri maggiori rimorsi alla fine delle nostre vite saranno le opportunità di amare il nostro prossimo che abbiamo lasciato sul tavolo.
Il nostro padre Fondatore descrive chiaramente il cammino del Rinnegamento:
In primo luogo, dobbiamo riconoscere e prestare attenzione al nostro Difetto Dominante, che si manifesta nella dura impressione che lasciamo al nostro prossimo o nella poca attenzione alla sofferenza e ai sogni dei nostri simili:
Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato, abbiamo cantato un lamento e non avete pianto. (Mt 11, 17).
In secondo luogo, dobbiamo essere più coscienti del nostro attaccamento al mondo che si riflette in una cieca e forte assuefazione alle nostre opinioni, ai nostri desideri e al nostro istinto o felicità.
Hai notato quanto ferocemente difendiamo le nostre opinioni? È qualcosa di istintivo e molte volte non ci rendiamo neppure conto che lo stiamo facendo. Se potessimo comprendere che le nostre opinioni sono una risposta del nostro passato al presente, e pertanto devono essere limitate, saremmo tanto attaccati a quelle opinioni? Non importa se il tema è banale, come quale programma di televisione vedere o qualcosa di più serio, come una decisione sull’educazione dei bambini o l’organizzazione di un’attività della Gioventù Idente. Siamo attaccati alle nostre opinioni perché sorgono dalle nostre menti, ma noi c’identifichiamo con tutto quello che pensiamo? Se qualcuno discute la nostra opinione, abbiamo la sensazione che ci stanno attaccando ed allora si scatena la risposta di lotta o fuga.
Rispetto ai nostri desideri e capricci, prestiamo attenzione a questo commento perspicace di Michael Faraday; sì, proprio il famoso scienziato britannico:
La forza della tentazione che ci spinge a cercare le evidenze ed apparenze che sono a favore dei nostri desideri, ed a disprezzare coloro che ad essi si oppongono, è sorprendentemente grande. In questo senso, tutti siamo, più o meno, promotori attivi dell’errore. Invece di praticare un sano rinnegamento di noi stessi, qualche volta perfino rendiamo il nostro desiderio, padre dei nostri pensieri: riceviamo tanto piacevolmente colui che ci dà ragione, mentre respingiamo sgradevolmente colui che ci si oppone; tuttavia, in realtà, quello che detta il buonsenso (o senso comune) è il contrario.
Nella sua Concezione Mistica dell’Antropologia, il nostro padre Fondatore descrive vivacemente alcuni dei nostri atteggiamenti derivati dalla mancanza di rinnegamento:
a) L’atteggiamento farisaico, che è quello di colui che si caratterizza per l’incontinenza verbale. Le persone che incorrono in questo atteggiamento cominciano a parlare e, nella misura in cui la conversazione progredisce, il centro ed il tema diventano la compiacenza con loro stesse o a partire da loro stesse. Un esempio di questo atteggiamento l’abbiamo nel fariseo che ringraziava Dio e si confrontava col pubblicano credendosi migliore di lui.
b) L’atteggiamento di Nicodemo, che è quello di colui che cerca di giustificare la superficialità della sua fede; gli costa dare testimonianza pubblica e, quando lo fa, lo fa di nascosto, senza impegno, cercando, perfino, di nasconderlo. È la persona che vive della curiosità con inclinazione ad accontentarsi di una religiosità facile o comoda. Questo è l’atteggiamento di chi è capace di vergognarsi di Dio e della religione in situazioni di scomodità o dove la fama è in gioco.
c) L’atteggiamento di Pilato (pilatesco) che è quello di colui che, davanti ad una situazione ingiusta, se ne lava le mani, guardando da un’altra parte. È la posizione di coloro che non hanno onore, non difendono il debole o innocente, non difendono Dio. Queste persone, prese dalla paura, permettono ogni critica che si fa ai credenti, alla Chiesa, alla religione. Sono deboli nei loro argomenti per la loro mancanza di convinzione. Non sono disposti ad affrontare una situazione di difesa dell’innocente.
d) L’atteggiamento di Pietro che è quello di colui che si esalta facilmente, si emoziona, spinge, ma è superficiale nelle sue vivenze. Al primo cambiamento, quando c’è una difficoltà, le persone che hanno questo atteggiamento cedono facilmente per paura, per attaccamento alla fama, per lo sforzo che presuppone un impegno, o perché viene presentata loro una situazione sfavorevole nella quale c’è un rischio personale.
e) L’atteggiamento di Giuda che è quello di colui che è propenso al tradimento, all’infedeltà, a mancare all’impegno contratto, a vergognarsi della sua condizione di credente o a criticarla allo scopo di fare bella figura davanti agli altri. Quando qualcosa non va come queste persone pensano, o non hanno successo in quello che si propongono, poiché hanno sé stessi come punto di riferimento, incorrono nell’atteggiamento pernicioso della disperazione che li può portare facilmente ad abbandonare la fede o la credenza in Dio.
Ma noi siamo discepoli, e stiamo sempre imparando; pertanto, primo, impariamo a portare le piccole croci delle cose piccole, specialmente negli inconvenienti e nelle frizioni della vita familiare e comunitaria. Presto vedremo che questo non è solo un “primo passo”…
Siamo realistici: ci sarà sempre qualcosa che interferirà con la nostra intenzione di vivere quel generoso primo “sì”. Vivere il “sì” in ogni momento della nostra vita ci intimidisce ed è una grande sfida o, per meglio dire, qualcosa di impossibile. È per questo motivo che indiscutibilmente abbiamo bisogno di fede per fare la volontà di Dio. Maria ci mostra che cosa sia la fede in Dio: una fiducia per credere nell’impossibile. La fede significa permettere che la grazia di Dio operi in noi, nelle nostre vite. Accettiamo veramente quell’aiuto? Siamo ricettivi al suo aiuto? In altre parole, dobbiamo permettere che Dio entri nelle nostre vite. Questo richiede umiltà da parte nostra livellando la montagna del nostro ego e riempiendo con nuove azioni generose la valle delle nostre vite.
Maria non capì come sarebbe stato possibile portare a compimento quello che l’angelo le annunciò; ma credette alle parole dell’angelo: A Dio nulla è impossibile. L’angelo non diede ragioni per convincere Maria; piuttosto la invitò a contemplare l’opera di Dio in sua cugina Elisabetta che aveva concepito nella vecchiaia. Maria capisce che è davanti al mistero insondabile di Dio e si fida della parola del messaggero del Signore. Rinnoviamo il nostro coraggio ascoltando le testimonianze ispiratrici di come Dio lavora nelle vite delle persone. È per questo motivo che leggiamo le vite dei Santi e dobbiamo ascoltare con attenzione la testimonianza dei nostri fratelli nell’Esame Ascetico-Mistico.
Permettetemi di finire con questa osservazione del Papa Francesco:
Non dimentichiamo che la povertà reale duole: nessun rinnegamento è reale senza questa dimensione di penitenza. Diffido di una carità che non costa niente e non duole….