Commento al Vangelo del 22 ottobre 2017, XXIX Domenica del Tempo Ordinario (Esodo 22, 20-26; 1Tessalonicesi 1, 5c-10; Matteo 22, 34-40).
Troviamo sempre ragioni e pretesti per non amare gli altri. Sembra che questo faccia parte del nostro ego. Non desideriamo peccare, ma spesso evitiamo di fare il bene che potremmo fare. Oggi ci viene ricordato che la base del comandamento dell’amore si trovava già nell’Antico Testamento: perché anche voi siete stati stranieri in terra d’Egitto. Perché essi, essendo emarginati dalla società, sono stati amati da Dio incondizionatamente. Cristo ce lo dice ancora più chiaramente.
Il Vangelo di Matteo di oggi generalizza, una volta di più: ama Dio ed ama il tuo prossimo. Possiamo riportare alla mente la storia del Buon Samaritano per ricordare che il nostro prossimo è colui che ha qualunque tipo di necessità. Questa è una chiamata all’amore universale. Non è un invito a verificare chi non dobbiamo amare.
In una famiglia o in una comunità religiosa o in una comunità parrocchiale, non è facile amare coloro che respingono la forma di vita della famiglia, della comunità religiosa o della parrocchia (soprattutto ogni individualista ed orgoglioso). Amare queste persone non significa respingere la forma di vita che ci è stata donata. Significa cercare forme di amore per coloro che la respingono. Questo è parte della continua sfida di seguire Cristo. Vediamo tre storie semplici che descrivono tre tratti importanti dell’amore di Dio e dell’amore che ci chiede di vivere.
Serendipia è una parola di moda. È l’effetto per il quale uno trova accidentalmente qualcosa di realmente meraviglioso, specialmente quando cercava qualcosa di completamente differente. L’amore di Dio è sorprendente ed emozionante. Arriva senza avvisare Quante volte sentiamo che Egli costruisce una strada dove sembrava impossibile farlo? Questa è la nostra prima storia:
Il Dr. Teo era un medico generale che si trasformò in chirurgo estetico. Morì nell’ottobre del 2012, dopo che gli avevano diagnosticato un cancro di fegato.
Al principio, come molti altri, pensava alla felicità nei termini di un successo, e quel successo era la ricchezza. Come medico giovane, comprese che essere un chirurgo estetico gli avrebbe dato l’opportunità di arrivare rapidamente al successo ed alla ricchezza. Cosicché, invece di dedicarsi ai malati e ai sofferenti, si dedicò ad abbellire l’aspetto di alcuni privilegiati. Non si sbagliò; dopo un anno stava già nuotando nei milioni e poteva permettersi ogni tipo di lusso. Poi, nel marzo del 2011, all’apice della vita, secondo i criteri del mondo, gli fu diagnosticato un cancro al fegato. Si depresse totalmente e si rese conto che tutto quello che aveva ottenuto non poteva dargli una vera allegria e una vera gioia.
Il Dr. Teo disse che, come medico, avrebbe dovuto essere pieno di compassione, perfino per le creature non umane, ma non lo era e non poteva esserlo. Di fatto, il suo contatto con le sofferenze e le morti nel dipartimento di cancro, come medico giovane, soffocarono la sua sensibilità e la sua capacità di empatia. Per lui, tutto era solamente lavoro. Benché conoscesse in termini medici la sofferenza delle persone, come si sentivano e attraverso cosa stavano passando, in realtà non immaginava come si sentivano … fino a quando egli stesso non si trasformò in un paziente di cancro. Disse che se avesse potuto tornare a vivere, sarebbe stato un medico differente, un medico veramente compassionevole. Come paziente di cancro, cominciava a comprendere come si sentivano gli altri; lo imparò in un modo duro e definitivo.
Il Dr. Teo consigliava ai medici giovani di non perdere mai la rotta morale durante il tragitto della vita e nella pratica della loro professione, qualcosa che egli aveva perso ossessionandosi con la ricchezza, vedendo i suoi pazienti come semplici fonti di guadagno. Come medici, avrebbero dovuto servire le persone ed avere compassione per la sofferenza dei loro pazienti. La società ed i mezzi di comunicazione non avrebbero dovuto dettar loro come dover vivere.
Questa è anche la nostra esperienza: la vera felicità non arriva quando serviamo noi stessi, bensì quando serviamo gli altri. E questo si produce nel conoscere Dio, ma non semplicemente conoscerlo con la testa, bensì avendo una relazione autentica con Lui, condividendo tutto con Lui. Il Dr. Teo lo imparò in un modo inaspettato.
L’amore di Dio è realmente potente e trasformante. Va oltre i nostri sforzi, oltre i piani dei santi. Questa è una storia di Sant’Antonio che ci mostra come lo Spirito Santo fa miracoli (la maggioranza delle volte invisibili) con la nostra umile donazione:
Sant’Antonio è il modello del monachesimo in Egitto, nel secolo IV. Un monaco anziano ed uno dei suoi giovani discepoli attraversavano ogni anno il deserto per visitare Antonio ed imparare da lui. Quando si trovavano di fronte a lui, il monaco gli domandava sulla vita di orazione, sull’amore a Cristo e su come capire le Scritture. Tuttavia, il giovane rimaneva in completo silenzio ed attento a tutto. L’anno successivo, il monaco veterano ed il giovane tornarono nel deserto per ascoltare i consigli di Antonio. Di nuovo, il monaco aveva gran quantità di domande ed il novizio rimaneva in piedi senza dire parola. Questo succedeva ogni anno allo stesso modo. Infine, Antonio domandò al giovane novizio: Per quale motivo vieni qui? Vieni ogni anno e non fai domande; non mi chiedi mai un consiglio, perché vieni? Il giovane parlò per la prima vola in presenza del gran santo: Mi è sufficiente vederla. Mi basta vedere come tratta il mio superiore.
Realmente, tutto dipende dal comandamento dell’amore. Di più, l’amore di Dio e il nostro amore sono intimamente ed integralmente relazionati. Erik Erikson (1902-1994) fu un influente psicologo dello sviluppo e descrisse le tappe dello sviluppo psicologico umano. Curiosamente, la prima tappa del nostro sviluppo, fiducia di fronte a sfiducia, va dalla nascita fino ai 18 mesi di età. Così, per questo autore, il substrato sul quale si costruisce tutto il nostro sviluppo psico-sociale è fiducia di fronte a sfiducia. La fiducia si sviluppa nel bambino quando si soddisfano le sue necessità. Per esempio, quando ha un pannolino sporco o bagnato, piange, una persona accorre in risposta al suo pianto e cambia il pannolino. Quando questa chiamata e questa risposta si hanno in modo consistente, si sviluppa la fiducia e la sfiducia diventa minima.
Se questa tappa si completa con successo, allora la fiducia è trasformata dallo Spirito Santo nella virtù della speranza. In caso contrario, un sentimento di sfiducia dominerà il bambino e la paura occuperà il centro della sua visione del mondo.
Forse la prossima storia può illustrare il significato di amare con tutto il nostro cuore, con tutta la nostra anima e con tutta la nostra mente.
Un equilibrista professionista stese una corda al largo delle cascate del Niagara e annunciò che le avrebbe attraversate camminando sulla corda. La gente stava attenta per vedere l’impresa ed egli domandò a quella moltitudine se credevano che avrebbe potuto farlo. Tutti risposero unanimemente: Sì. Da buon professionista, salì sulla corda e l’attraversò con facilità. Poi prese una carriola e la mise sulla corda. Di nuovo domandò alla moltitudine se credevano che avrebbe potuto portarla sulla corda. Di nuovo tutti risposero con un sonoro Si. L’equilibrista attraversò le cascate un’altra volta in modo perfetto. Allora, si diresse verso uno spettatore sprovveduto e gli domandò: Crede che possa farlo con una persona dentro la carriola? Lo spettatore rispose: Sì, credo che lei possa farlo. Allora, l’equilibrista gli disse solennemente: Salga sulla carriola. Questo significa passare dal “io credo” all’azione.
Questa è l’orazione della nostra facoltà unitiva e l’autentico comportamento estatico. Se credo che Cristo è il Signore che viene ad essere il nostro Salvatore, allora mi metterò nelle sue mani in modo che possa salvarmi per il regno dei cieli ora, subito, per mezzo di atti progressivi d’amore.
Il Vangelo di San Matteo ci racconta la storia della conversione di Pietro. Non è una conversione a certe credenze. È un movimento dalla testa al cuore e dal cuore alle mani. Cristo comincia facendogli una domanda molto generale: Chi dice la gente che io sia? Pietro dà una risposta ortodossa per quell’epoca: La gente dice che sei la reincarnazione di Elia, o Giovanni il Battista, o Geremia. Allora, Cristo porta Pietro a guardare la sua coscienza: E TU chi credi che io sia? Pietro risponde: Tu sei il Messia. Infine, Cristo lo spinge dalle parole alle opere: Ora, sii tu stesso un Messia. Sii una roccia sulla quale altri possano costruire le loro vite.
Vediamo come Cristo porta rapidamente Pedro dalla credenza all’azione, da una dichiarazione di fede ad una missione di apostolato. Questa è la cosa più affascinante di quel momento. Il messaggio di Gesù è: Passerai ad essere da qualcuno che fa un’affermazione di fede ad uno che incarna e mette la fede in azione. Ci vuole sempre portare dall’affermazione della nostra fede all’incarnazione e alla messa in atto della fede. Ricordiamo che Gesù non termina mai le sue parabole o insegnamenti dicendo: Siete d’accordo? o E’ logico quello che dico? Piuttosto, ci dice: Ora, seguimi. Sì; Cristo dice ai suoi: Se qualcuno vuole essere mio discepolo, rinneghi se stesso, prenda la sua croce di ogni giorno e mi segua. Questo è il vero punto di inflessione per te e per me; passare dalla credenza all’azione. Tu ed io decidiamo così se seguiamo Cristo o non lo seguiamo.
Quante volte abbiamo ascoltato il seguente ragionamento: Tu sei cristiano, io sono ateo. Dimmi, come influisce la tua fede in Dio sul tuo modo di trattare gli altri, o sul tuo modo di usare il denaro?
Può essere che sia solamente un atto molto piccolo da parte tua. Quello che più importa è che tu prenda alcune misure in nome Suo. Allora attraverserai la linea invisibile che c’è tra credenza ed azione. Sarà chiaro che tu sei la persona, questa è la visione della volontà divina e ora è il momento. Questo è il principio di un’autentica conoscenza di Dio, di un dialogo reale con la Santissima Trinità.
Affinché l’amore divino si faccia realtà nella nostra vita, dobbiamo tornare una e un’altra volta alla sua radice che è la nostra relazione con Dio attraverso l’orazione. Quando preghiamo, non è solo per meditare sulle virtù di Cristo o per cercare di imitarlo, o per rivedere quali mancanze abbiamo commesso. Ovviamente, queste dimensioni dell’orazione sono necessarie. Ma, essenzialmente, l’orazione è stare con Dio e godere del suo amore incondizionato, rispondendo con l’offerta quotidiana della nostra vita. Solo allora potremo trovare il nostro vero essere e potremo essere curati dalle nostre debolezze. Solo allora, quando avremo sperimentato così la sua presenza, potremo annunciarlo agli altri.