di p. Luis Casasús, Superiore Generale dei missionari Identes
New York, 24 febbraio 2019
Settima Domenica Tempo Ord.
Libro dei Re 26,2.7-9.12-13.22-23; 1Corinzi 15,45-49; S. Luca 6, 27-38
Giuda Iscariota aveva ricevuto da Cristo sempre un segno di fiducia, un gesto di perdono, una conferma della sua misericordia. L’atteggiamento di Cristo verso questo discepolo traditore è l’esempio più estremo dell’attiva e saggia misericordia evangelica.
Quali sono le caratteristiche del perdono cristiano? Oggi le Letture ci danno molte risposte. Riflettiamo su alcune di esse.
1. Il perdono è qualcosa di profondo nella nostra vera natura. Ogni volta si dice che ci sono due modi “naturali” di reagire davanti ad un’aggressione: o lottare o fuggire. Ma noi siamo stati creati ad immagine e somiglianza di un Dio misericordioso. Quando parliamo di Adamo ed Eva, ci riferiamo sempre al peccato originale, ma ugualmente originale e fondamentale fu il perdono che i nostri primi genitori ricevettero da Dio. Adamo ed Eva furono perdonati da Dio, ma, ad ogni modo, furono espulsi dal Giardino dell’Eden. Il Libro dell’Esodo descrive Dio come compassionevole e misericordioso, disposto a perdonare la nostra iniquità e la trasgressione ed i peccati. Ma, aggiunge anche che “…. castiga la colpa dei padri nei figli e nei figli dei figli….“ (Es 34, 7).
La Seconda Lettura di oggi dice: “…come abbiamo portato l’immagine dell’uomo di terra, così porteremo l’immagine dell’uomo celeste”. Questa natura misericordiosa, ricevuta all’inizio, è più profonda e più potente dei nostri istinti. Non possiamo dire che un cocco è duro. Questo è impreciso ed inesatto. Il cocco è molto duro all’esterno, ma l’interno è un tessuto delicato con un liquido chiaro e delizioso.
Un anziano religioso indù normalmente meditava tutte le mattine sotto un grande albero sulle rive del fiume. Una mattina, dopo aver finito la sua meditazione, vide un grosso scorpione che stava galleggiando nella forte corrente del fiume, senza riuscire a salvarsi. Lo scorpione era rimasto intrappolato nelle lunghe radici di un albero che si stendevano fino al letto del fiume. Quanto più lottava per liberarsi, più si impigliava nelle fini e contorte radici. L’anziano allungò il suo braccio per liberare la creatura prigioniera ma, non appena la toccò, lo scorpione alzò la coda e lo punse. Ma l’uomo cercò ancora di liberarlo. Un giovane stava passando e vide quello che stava succedendo. Gli gridò: Senta signore, che cosa fa? Lei mi sembra pazzo! Perché si disturba a rischiare la vita per salvare una creatura tanto brutta ed inutile? L’anziano si girò verso il giovane e nel suo dolore gli domandò: Amico, dato che la natura dello scorpione è il pungere, perché io dovrei rinunciare alla mia natura che è salvare?
A volte, il danno sofferto è tanto orribile che forse non vogliamo che nessuno perdoni quello che ci hanno fatto. In altri casi, abbiamo nemici che non possiamo allontanare dalla nostra vita. Una donna lottava con l’esperienza di sua madre prevaricatrice ed ammetteva che, benché sua madre fosse già morta, ella continuava ad essere ossessionata da quel ricordo traumatico. Probabilmente, in quel caso il perdono non aveva trionfato. Un’altra donna adottò un figlio e si rese conto che avrebbe dovuto sopportare indefinitamente le visite dei suoi nemici: alcuni parenti dal bambino che erano disfunzionali, manipolatori e, a volte, crudeli. È precisamente in questi casi dove dobbiamo ricordare che non siamo soli nello sforzo di perdonare quello che sembra imperdonabile.
2. Il perdono è LA strada verso la libertà e l’unità spirituali. Perdonare è abbandonare la storia che ci costruiamo, per poter sperimentare così la verità che ci rende liberi. Solo allora potremo toglierci le catene del passato ed essere liberati per fare un viaggio fruttuoso nel nostro cammino spirituale. Non solo quello; il perdono mantiene unità nei momenti buoni e cattivi e ci permette di crescere nell’amore mutuo. Esiste sempre la tentazione di aggrapparci all’odio verso i nostri nemici e così sentirci definiti come gli offesi e i feriti da loro. Il perdono, pertanto, libera, non solo l’altro, ma anche noi stessi. È la strada verso la libertà dei figli di Dio. Il dono del perdono è creatore di una comunità, che vive ed estende questo dono.
Un pellegrino viaggiava in un territorio devastato dalla recente guerra appena terminata, e crudelmente diviso dalle lotte del dopoguerra tra le forze ribelli e quelle leali al governo. Arrivando in un paese, un anziano chiamato Leo gli diede ospitalità. La casa di Leo era stata incendiata, per cui accolse il suo invitato sotto la tettoia che ora era la sua casa.
Il pellegrino ascoltò la storia di Leo. I suoi due figli maggiori si erano uniti alle forze ribelli. Ma alcuni vicini rivelarono il loro nascondiglio; furono catturati e mai più li tornarono a vedere. Quasi contemporaneamente, sua moglie morì di fame. Dopo la guerra, Leo viveva solo con una delle sue figlie sposate ed il suo bebè. Ella aspettava un secondo figlio tra poche settimane. Un giorno, ritornando a casa, la trovò in fiamme, incendiata dai lealisti: Arrivai in tempo per vedere come trascinavano mia figlia che poi l’ammazzarono; scaricarono tutte le sue pallottole nel suo ventre. Quindi ammazzarono il bambino di fronte a me.
Quelli che commisero questi crimini non erano stranieri, ma erano i suoi vicini. Leo sapeva esattamente chi erano, e doveva trovarsi con loro tutti i giorni. Mi domando come non sia diventato pazzo, commentò al pellegrino una delle donne del paese. Ma realmente Leo non perse la sua saggezza. Al contrario, parlò coi vicini della necessità di perdono. Chiesi loro che perdonassero, e dissi loro che non c’è un’altra strada, disse al pellegrino. La loro risposta, aggiunse, fu una risata in faccia. Tuttavia, quando il pellegrino parlò col figlio sopravvissuto di Leo, questo non rise di suo padre, ma lo descrisse come un uomo libero: È libero perché ha perdonato.
Sono da sottolineare due frasi in questa storia:
* Non c’è un’altra strada. Certe situazioni umane sono tanto complesse ed intrattabili che esiste solo un’uscita: perdonare. Come osservò il Mahatma Gandhi, la frase “occhio per occhio” lascia tutto il mondo cieco. Solo attraverso il perdono possiamo rompere la catena di rappresaglie mutue ed amarezze autodistruttive. Senza perdono, non ci può essere la speranza di un nuovo principio. Le sue parole si applicano sicuramente anche a molte altre situazioni di conflitto.
* È libero perché ha perdonato. Sì, dove c’è perdono… c’è libertà. Se solo arrivassimo a perdonare, se almeno volessimo perdonare, allora ci troveremmo in un ambiente di libertà celestiale. Questa è la lezione della Prima Lettura di oggi.
Quando sentiamo che non riusciamo a perdonare quello che ci hanno fatto, possiamo pronunciare le parole di Cristo: Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno. Possiamo chiedere a Dio che Egli sia il primo a perdonare…. Vedremo allora che la nostra ira, il nostro senso di “povero me”, diminuirà gradualmente da solo, senza dover fare molto più sforzo.
Questo mi fa ricordare il proverbio del nostro padre Fondatore: Il perdono degli uomini non ha lo stesso successo di quello di Dio. (Trasfigurazioni). Gesù perdonò la donna adultera e il ladrone pentito. Neppure io ti condanno è il lato passivo dell’atteggiamento del nostro Cristo verso la contrizione. Oggi sarai con me in Paradiso, è il lato attivo.
Il perdono precede la conversione. Dio non ci perdona perché ci pentiamo; piuttosto ci pentiamo perché Dio ci perdona. Il Figlio Prodigo poté pentirsi perché ricordava suo padre che amava perfino i suoi dipendenti: Riflettendo su questo, pensò: “Quanti servi di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame!(Lc 15, 17) È l’amore del padre quello che lo spinse a “tornare a casa”, a pentirsi.
Questo è anche quello che, prima o poi, succede quando perdoniamo:
Anni fa, in una piccola città, una coppia cristiana perse il suo unico figlio, investito da un giovane guidatore ubriaco. Nonostante la loro profonda tristezza, sapevano che il loro figlio era con Dio perché egli era stato sempre vicino a Dio. Con pena andarono alla prigione per visitare il giovane che aveva ammazzato il loro figlio. Scoprirono che proveniva da una famiglia rovinata e che non aveva mai ricevuto un vero amore. Decisero di andarlo a visitare quotidianamente e di condividere il Vangelo con lui. Passato un certo tempo, l’adottarono come loro figlio. Il giovane era molto commosso. Non solo si convertì alla fede, ma più tardi si dedicò pienamente all’apostolato. Questo giovane non aveva ricevuto amore dalla sua propria famiglia, ma ricevette l’amore perfetto dalla famiglia che, per colpa sua, aveva perso l’amato figlio.
3. Il perdono è creativo ed è un frutto della nostra vittoria sulla paura.
Madre Teresa, la santa dei quartieri poveri di Calcutta, andò con un bambino piccolo da un panettiere del quartiere e gli chiese un po’ di pane per il bambino affamato. Il panettiere sputò sul viso di madre Teresa. Senza scoraggiarsi, ella rispose con calma: Grazie per questo regalo per me. Ora, ha qualcosa per il bambino?
Ella non rispose né con aggressività, né con la fuga, bensì con un gesto provocatorio, destinato a portare il suo aggressore ad una vera coscienza spirituale.
Perdonare non è solo dire: non ti preoccupare per quello, non fa niente; non è semplicemente il non serbare rancore.
Il perdono crea un nuovo modo di stare insieme. Non è centrato in me stesso, bensì nella missione che devo discernere, nella giungla quotidiana di malintesi, opposizione e resistenze. La nostra esistenza sarà più piena quando ci renderemo conto che la vita – soprattutto la vita spirituale – non è centrata in me.
In particolare, il perdono di Dio è creativo: a chi si è convertito in colpevole lo rende libero da ogni colpa. Dio accoglie l’uomo colpevole nella sua divina santità, lo fa partecipare di Lui e gli dà l’opportunità di ricominciare di nuovo. È a questo mistero che l’uomo ricorre quando riconosce i suoi peccati, si pente di essi e cerca il perdono.
Perché non abbracciamo il rischio di perdonare? Precisamente perché temiamo le cose nuove, la vita nuova che il perdono ci esige. La fede è il contrario della paura. L’amore perfetto respinge la paura, e la fede ci unisce con quell’amore perfetto. Quando Gesù calmò il temporale, domandò ai suoi discepoli: «Perché siete così paurosi? Non avete ancora fede?» (Mc 4, 40). Sì, il contrario della paura non è il coraggio, bensì la fede. La paura in molti modi è una delle principali barriere all’amore. Jalal Uddin Rumi, il mistico sufí del secolo XIII, disse: La tua missione non è cercare l’amore, bensì semplicemente cercare e trovare tutte le barriere che hai costruito dentro di te contro di lui.
Strettamente parlando, è paradossalmente il timore salutare o timore reverenziale verso Dio quello che supera le altre paure ed è intimamente connesso con la fede. È un tipo di timore risanante che fa sì che la nostra fede in Dio sia valorosa. Per i cristiani, è la fede quella che porta oltre la paura, la morte e le minacce del mondo. È una fede che trasforma in speranza le circostanze impossibili. Ed è la fede che fortifica i credenti di fronte agli attacchi e all’umiliazione. Questa è l’esperienza dei santi:
San Giovanni Climaco (579-649) scrisse: Chi si è fatto servo del Signore teme solo il suo Maestro. Ma chi non ha il timor di Dio, spesso teme perfino la propria ombra. La paura è figlia dell’incredulità.
Sant’ Efrem il Siro (306-373), un vero maestro del pentimento, dice: Chi teme Dio sta al di sopra di ogni tipo di paura. Si è convertito in straniero a tutta la paura di questo mondo, l’ha lasciato lontana da se stesso, e nessuna forma di tremore lo colpisce.