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Belén Carreras interviene nella presentazione del libro sull’Emilia, la prima zingara beatificata

By 2 Novembre, 2017No Comments

Lo scorso 19 ottobre, nel Centro culturale Nuevo Inicio dell’Arcivescovato di Granata (Spagna), è stato presentato il libro “Emilia, la zingara martire”. Alla presentazione intervenne Belén Carreras Maya, missionaria idente e direttrice del Dipartimento per la Pastorale gitana della Conferenza Episcopale Spagnola.

Emilia, zingara e martire della persecuzione religiosa degli anni 30 del secolo XX in Spagna, fu beatificata lo scorso 25 marzo 2017 ad Almeria, insieme ad altri 114 martiri, divenendo così la prima zingara beatificata.

Juana Sánchez-Gey, Procuratrice delle missionarie identes, fu presente all’atto e condivise con noi la sua impressione: “E’ stato un atto molto emozionante per me; la sala si riempì totalmente di zingari e non zingari, tutti attenti ad ascoltare Martin Ibarra, autore della biografia, che, in maniera semplice, raccontava la vita di questa beata gitana”.

Riproponiamo qui di seguito, l’articolo di Antonio Jiménez, apparso su Aleteia, con un riassunto della vita di Emilia.

Emilia Fernández è la prima zingara al mondo ad essere beatificata. Nacque a Tijola (Almeria), figlia di un bracciante. Imparò a lavorare la stamina e, agli inizi del 1938, si sposa con Juan Cortés, con rito gitano. Entrambi sono arrestati e portati ad Almeria. In carcere Emilia impara a recitare il rosario e si converte. Per non voler tradire chi gliel’ ha insegnato, è rinchiusa in una cella di isolamento dove, nel gennaio del 1939 dà alla luce una bimba. Due settimane dopo il parto. Emilia muore.

Nata nel seno di una famiglia gitana della piccola località almeriense di Tijola, Emilia fu una ragazza normalissima, del suo tempo, anche se tutti quelli che la conobbero e hanno potuto dare la propria testimonianza sulla martire, affermano che era buona e attenta agli altri; “molto buona, umile e religiosa”, raccontò la sua compagna di cella nel carcere repubblicano di Gachas Colorás.

Prima di essere incarcerata, Emilia aiutava la sua famiglia confezionando e vendendo cesti di vimini, per cui, nel famoso mercato del luogo, era conosciuta come “ la canestraia”. Non si potrebbe dire altro di questa ragazza zingara umile e lavoratrice, eccetto il fatto che, come tante altre, finì nelle mani delle milizie repubblicane.

Le milizie, che dicevano di servire la Repubblica spagnola, commettevano vere barbarità in nome del Governo, che non sapeva (o non voleva sapere), i soprusi che questi gruppi di civili armati commettevano sopra civili indifesi.

Ad ogni modo i miliziani arrivarono per reclutare “volontari” (obbligati), tra gli zingari di Tijola, i quali, però, non avevano nessuna intenzione di perdere la loro vita per una causa in cui non credevano, e per un governo che da secoli li aveva emarginati.

Per questo, Emilia e suo marito Juan, idearono un piano per evitare questo reclutamento forzoso. Sfortunatamente il fatto fu scoperto, e la coppia fu giudicata sommariamente e reclusa separatamente: in un carcere per uomini Juan, e in uno per donne Emilia.

La condizione di donna incinta di Emilia, non fece che peggiorare il comportamento delle carceriere verso di lei; ciò intenerì le recluse che presero le parti di Emilia, arrivando a passarle di nascosto le loro razioni di cibo.

Durante la sua permanenza nel carcere, Emilia fece amicizia con un’altra reclusa, cattolica e della sua stessa età, Dolores. Nella sua amicizia con lei, Emilia le chiede di insegnarle a pregare, e di istruirla sulla recita del rosario. Emilia impara il Padre nostro, l’Ave Maria e il Gloria…e recita il rosario costantemente.

La direttrice della prigione viene a conoscenza del fatto, e decide di ricattare Emilia perché le dica chi le insegnò la preghiera mariana. La lealtà, fedeltà e generosità di Emilia verso Dolores del Olmo, fa sì che sia messa in una cella di isolamento dove le condizioni erano, se fosse possibile, ancora peggiori. In questa cella di isolamento, fredda e priva di ogni condizione igienica, Emilia darà alla luce sua figlia Angeles, che sarà battezzata di nascosto, per il rischio di un castigo ancora maggiore.

Dopo il parto, le condizioni fisiche di Emilia divengono gravissime, e viene trasportata d’urgenza in ospedale; ma, stranamente, invece di essere curata, viene riportata in carcere dove la lasciarono morire per le emorragie causate da un parto avvenuto senza alcuna assistenza medica.

Non si seppe nient’altro di Emilia, né della sua neonata Angeles. La cosa più probabile è che il suo corpo sia stato messo in una delle molte fosse comuni della zona, mentre si suppone che sua figlia, nel migliore dei casi, sia stata data in adozione.

La storia di Emilia, “la canestraia”, è una delle 115 che il 25 marzo saranno ricordate nella beatificazione dei martiri di Almeria.

José Juan Alarcón, delegato episcopale per le Cause dei Santi della diocesi di Almeria, sottolineava che è il miglior esempio di come “la Chiesa non considera martire solo chi viene ucciso per vivere la sua fede, ma anche chi, come Emilia, viene, per punizione, lasciata morire”.

E’ per questo motivo che viene pubblicato il libro Emilia “La canestera”, martir del Rosario (Edizioni Palabra): un libro di Martín Ibarra Benlloch che farà conoscere la storia della prima donna zingara beatificata dalla Chiesa.

(https://es.aleteia.org/2017/03/23/emilia-la-canastera-martir-del-rosario-sube-a-los-altares-de-almeria/)