Considerato maestro dei teatini. Collaboratore e compagno del fondatore dell’Ordine, san Gaetano da Thiene, fu un grande apostolo a Napoli. Pensando ai poveri e agli indifesi, diede impulso ad una importante rete: i Monti di Pietà
Festività di santa Lucia, oggi si celebra anche la vita del beato Marinoni, nel quale i poveri ed indifesi ebbero uno dei loro grandi protettori.
Nacque a Venezia (Italia) il 25 dicembre 1490. Era figlio di un’illustre famiglia che possedeva grandi beni e che aveva le sue radici a Bergamo. Fu il beniamino di sei fratelli, e lo battezzarono col nome di Francesco. Sua madre Elisabetta gli trasmise la devozione per l’Immacolata. Crebbe in una casa dove fiorì la fede illuminata, in particolare per l’influsso della pietà materna. Tre sorelle che non contrassero matrimonio, si dedicarono alle opere di carità, e due suoi fratelli furono sacerdoti.
Marinoni si trasformò in un giovane attraente, con innegabile eleganza naturale, che lasciava trasparire un’educazione squisita che si accompagnava alle sue fini maniere. Frequentò diritto nell’università di Padova, ma disistimò la carriera giudiziale nella quale sarebbe arrivato lontano, ed optò per il sacerdozio. Rinunciò alla sua eredità e ai suoi privilegi, ripartendo parte dei suoi beni tra i poveri dopo averne lasciati una parte nelle mani della sua famiglia. Era membro del clero nella collegiata di San Pantaleone, sagrestano della basilica di San Marco -missione che aveva già nel 1515-, ed uno dei suoi canonici. Per un tempo fu cappellano e superiore dell’ospedale degli Incurabili. In quest’epoca combinò questa azione apostolica con la predicazione e l’insegnamento ai bambini.
La fondazione dei Chierici Regolari iniziata da san Gaetano da Thiene dava i suoi primi passi, ed il beato che voleva consacrare la sua vita a Cristo come religioso, cominciava ad essere sedotto da quel carisma. Cosicché rinunciò al suo canonicato e si integrò nell’Ordine nel 1528. Professò nel maggio 1530 prendendo il nome di Giovanni. Gli impose l’abito Gian Pietro Carafa, vescovo di Chieti e futuro pontefice Paolo IV, alla presenza del fondatore san Gaetano; da allora cominciò a collaborare strettamente con lui. Di fatto, tre anni più tardi, a richiesta del papa Clemente VII, entrambi, Gaetano e lui, -perché così lo giudicò il superiore generale Carafa considerandolo idoneo ad accompagnare il fondatore-, si trasferirono a Napoli ed aprirono la prima casa. La stabilirono in santa Maria della Misericordia, rimpiazzata poi dall’ospedale degli Incurabili, a cui seguirono altre residenze, fino a che nel 1538 si stabilirono definitivamente a San Paolo Maggiore. Ambedue si andarono sostituendo successivamente nei lavori di governo.
Marinoni era un uomo ammirato per la sua semplicità, carità ed umiltà. Era un grande penitente. Normalmente approfittava del tempo al massimo; non sprecava neppure un secondo. Allegro, ponderato e prudente, evidenziava che viveva unito a Dio. Fu un grande confessore; aveva sapienza per la direzione spirituale e la formazione dei futuri sacerdoti, per questo è considerato “maestro dei teatini”. Lo si trovava sempre a disposizione di coloro che accorrevano a lui, disponibile, aperto all’ascolto. Sotto il suo insegnamento, tra gli altri egregi sacerdoti, si appassionarono per Cristo ed impararono le sfumature del carisma fondatore: il beato cardinale Paolo Burali, Giacomo Tormo, Salvatore Caracciolo, che fu arcivescovo di Conza, e sant’Andrea Avellino, suo primo biografo; fu colui che lo assistette nel momento della morte. Avellino ritrasse il suo maestro dicendo che: “…fu sempre di natura gentile, per cui era amato, rispettato ed ammirato dai fedeli che gli rendevano onori e lo consideravano un santo…”. Certamente esercitò una leadership spirituale tra i religiosi perché altre insigni figure della Chiesa si forgiarono insieme a lui, sottolineando l’imponente carisma che aveva. Di fatto, è considerato anche “maestro di santi”.
Era un oratore eccezionale che commuoveva i fedeli con le sue accese parole; evidenziavano il suo amore per Cristo. Promosse la fondazione di santuari, monasteri, orfanotrofi e case per giovani. Si caratterizzò per la sua devozione alla Passione, e la sua sensibilità per i bisognosi. Per poterli servire, nel 1539, d’accordo col fondatore, incoraggiò i “Monti di Pietà” che tanto bene fecero in questi collettivi svantaggiati, riscattandoli da opportunisti e noncuranti usurai; ebbero tanto successo che si trasformarono poi nella Banca di Napoli. Nell’impulso di questo lodevole compito risposero alla chiamata di Marinoni: Aurelio Paparo, Gian Domenico di Lega e Leonardo Palma che misero parte del capitale iniziale; erano i suoi discepoli. Anche le donne che dirigeva intrapresero iniziative di grande profondità, come fece Giovanna Scorziata che volle offrire alle bambine una scelta educazione cristiana per la quale fondò “Il Tempio”. A loro volta, le quattro sorelle Palescandalo che si erano nutrite degli insegnamenti del beato, fondarono il monastero di Sant’Andrea delle Dame.
Nell’esemplare azione apostolica che portava a termine, insieme a san Gaetano, combatté i movimenti contrari alla Chiesa. Nel 1547 dopo la morte del fondatore rimase a capo della comunità napoletana. Paolo IV gli offrì di occupare la sede di Napoli come arcivescovo e cardinale in varie occasioni, ma sentendosi indegno di quell’onore declinò e non accettò la missione. Fino alla fine dei suoi giorni pregava per tutti e creava nuove vie di aiuto per i poveri e gli anziani. Fu in quel periodo quando aprì ospizi per loro e mise in moto alcuni ospedali. In cinque occasioni fu preposito della casa di San Paolo di Napoli, ed in essa morì il 13 dicembre 1562. Aveva seminato col suo zelo apostolico le strade della città per ventinove anni. Avellino che era diventato il suo confessore nell’ultima tappa della sua vita, rimase molto colpito per la sua perdita. I resti di Marinoni riceverono sepoltura nella cripta della basilica napoletana di San Paolo Maggiore, e si conservano insieme alle reliquie del suo fondatore, san Gaetano.
Il suo culto fu confermato da Clemente XIII l’11 settembre 1762.
© Isabel Orellana Vilches, 2018
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