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Santo

Beato Francesco Drzewiecki, 10 agosto

By 9 Agosto, 2024No Comments

“Sacerdote orionino, martire del genocidio nazista. L’uomo che edificava con la sua cortesia e premura gli internati del campo di sterminio di Dachau, dove in mezzo a crudeli condizioni continuò a svolgere il suo grande lavoro apostolico”.

 

Questo sacerdote orionino fu uno dei gloriosi martiri che donarono la loro vita per Cristo nel campo di sterminio di Dachau. Quasi un migliaio ingrossarono le file, tra gli altri, e per menzionare solo alcuni: Edith Stein, Massimiliano Kolbe e Tito Brandsma. La loro morte, umanamente una liberazione che riscattò tutti dalla barbarie, spiritualmente li condusse direttamente al cielo. Nelle cause aperte si è constatato che più di un centinaio di essi percorreva già il cammino della santità prima di aumentare le terrificanti e nauseabonde baracche. Francesco era uno di essi.

Nacque il 26 febbraio 1908 nella località polacca di Zduny, un ambiente nel quale l’attività comune per gli abitanti era il campo. Aveva quattro fratelli e sei sorelle, per cui le scarse entrate della sua umile famiglia coprivano appena le spese essenziali. Fu pastore come altri ragazzi della sua età. Così, in modo naturale, imparavano da bambini il valore dello sforzo, della disciplina e della generosità. Andò crescendo in un ambiente affine alla fede e alle pratiche di pietà, abituato alla recita quotidiana delle preghiere che condivideva coi suoi fratelli. Si distingueva per la sua finezza di trattamento; era datore di pace. Al fatto che i genitori non potessero finanziare gli studi che avrebbero sognato per la loro numerosa prole, si unì la morte del capofamiglia, obbligando Francesco a lasciare la scuola nel 1923, benché fosse applicato, intelligente e responsabile.

Rosalia, sua madre, conosceva la sua vocazione sacerdotale, e vedendo con dispiacere che la sua situazione economica poteva interferire, con tutta semplicità e a volte spontaneità commentava la sua inquietudine con persone vicine. Fu in una di queste conversazioni quando la informarono dell’esistenza di una scuola che non discriminava le persone senza risorse economiche. Videro che si trovava vicino a Zdunska Wola; poteva essere la soluzione. Rosalia, che fervorosamente pregava la mediazione della Vergine, mise immediatamente mano all’opera. E Francesco nel settembre del 1924 entrò nel seminario della Piccola Opera della Divina Provvidenza fondata da san Luigi Orione. Incoraggiata dal suo direttore, il padre Aleksander Chwilowiez, che si stava stanziando allora nella città ed offriva alle classi meno benestanti l’opportunità di formarsi con rigore. Rosalia interpretò il fatto vedendo in ciò la risposta di Maria alle sue suppliche.

Nel 1930 Francesco si integrò nella fondazione. Il virtuoso giovane, del quale Don Orione aveva già sentito parlare, aveva davanti a sé un promettente futuro apostolico. A Zdunska Wola ed in posti confinanti erano aperti diversi campi. Oltre alla parrocchia: un istituto per bambini, il cottolengo, la cucina per i poveri, la tipografia, ed altre opere caritatevoli ed azioni pastorali. Era importante che il beato fosse ben preparato. A questo scopo lo mandarono in Italia. Fece il noviziato a Tortona e nel 1936 fu ordinato sacerdote; cominciò il suo lavoro nel Piccolo Cottolengo di Genova-Castagna. Tutti lo stimavano per le sue qualità, la sua vicinanza, e la donazione che percepivano nelle attenzioni che dispensava loro. Egli non nascondeva la sua felicità. Così lo fece sapere ad un amico: “Ho lavoro in eccesso perché quest’anno la famiglia del cottolengo aumentò e ci sono nuove necessità. Siamo 150 persone. Sono molto contento di trovarmi qui, dove si fa la volontà di Dio”. L’anno seguente ritornò a Zdunska Wola ed esercitò la docenza nella facoltà.

Nella stagione estiva del 1939, quando il temporale della guerra stava arrivando sull’Europa, ed il suo paese ignorava che sarebbe stato una delle sue grandi vittime, fu destinato al servizio della parrocchia del Sacro Cuore e del Piccolo Cottolengo di Wloclawek. In settembre arrivò la prima invasione tedesca. Un’altra volta, la Chiesa era nel mirino e l’ingranaggio contro coloro che ne facevano parte si mise in moto senza dilazione. Ogni cattolico, e specialmente i presbiteri e i religiosi, furono oggetto di virulenta persecuzione.

Ai primi di novembre di quell’anno Francesco e la quasi la totalità del clero di Wloclawek, col suo prelato in testa, furono fermati ed imprigionati. Egli soffrì il suo particolare calvario a Lad, Szczyglin, Sachsenhausen e Dachau, dove arrivò dopo un viaggio estenuante e spaventoso, sottoposto a gelide temperature. Il numero col quale lo segnarono ignominiosamente in questo ultimo suo destino fu il 22.666. Questa cifra che l’imposero come un segno in più di umiliazione racchiudeva le chiavi del cielo. Non gli nascosero che da lì non sarebbe più uscito. Fu maltrattato ed obbligato a lavorare 15 ore giornaliere in condizioni inumane, con pochissimo alimento e riposo. Condivideva questo crudele ed ingiusto destino con altri vescovi, religiosi e sacerdoti; tutti con la speranza disegnata nei loro smunti visi, facendo veri sforzi per sostenere i corpi scheletrici, esauriti per le continue vessazioni. Francesco sarebbe stato ricordato come “l’uomo che edificava con la sua cortesia e premura”, accettando il duro compito senza proferire lamento alcuno, sostenuto dalla fede e dalla preghiera che non cessava di realizzare e che effettuava esplicitamente, nonostante la proibizione, quando lavorava accoccolato.

Benché fosse in piena gioventù, lo sforzo estenuante e la continuata violenza nel trattamento distrusse le sue riserve e si ammalò gravemente. Non serviva più a nulla per i suoi carcerieri che lo trasferirono alla baracca degli “invalidi”, gli inabili a lavorare. Il suo destino era la camera a gas. Poco prima di essere condotto alla morte, si arrischiò ad andare ad un’altra baracca per salutare un compagno che incoraggiò, dicendogli: “Giuseppino, non ti affliggere. Oggi noi e domani tu! […]. Noi andiamo…, ma offriremo la nostra vita per Dio, per la Chiesa e per la patria”. Ed il 13 settembre 1942 consegnò la sua anima a Dio. Aveva 34 anni e ne aveva passati tre in quell’inferno.

Fu beatificato da Giovanni Paolo II il 13 giugno 1999 a Varsavia.

 

© Isabel Orellana Vilches, 2018
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