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Santo

Beata Victoria Díez y Bustos de Molina, 12 agosto

By 11 Agosto, 2024No Comments

“Maestra e catechista, membro della Istituzione Teresiana fondata da Pedro Poveda, fu giustiziata nella guerra spagnola del 1936, diventando martire della fede. Giovanni Paolo II la elevò agli altari insieme al suo fondatore nella stessa data”.

 

In una delle lettere che Victoria indirizzò a Josefa Segovia, direttrice dell’Istituzione Teresiana, le disse: “Ricordo ora questa frase di santa Teresa: bisogna essere santamente intrepide. Se una maestra dell’Istituzione Teresiana non è santamente intrepida, dove sarà, dunque, il nostro teresianismo? Mi sembra che con spaventi e restringimenti non possiamo chiamarci figlie di santa Teresa che, secondo una frase sua, aveva un cuore forte”. Plasmò questi profondi sentimenti otto anni prima di spargere il suo sangue per Cristo. Traspaiono l’integrità e la coerenza di un’anima nobile e delicata, chiamata ad essere una delle glorie di questa Istituzione fondata da Pedro Poveda. Giovanni Paolo II l’elevò agli altari insieme a lui il 10 ottobre 1993. Lasciava intrecciate due grandi anime, già vincolate dall’incomparabile legame della carità che conduce a Cristo attraverso uno stesso carisma; due anelli di una santa catena nella quale paternità e filiazione, anche per questa via, rimanevano incorniciate per sempre.

Victoria portava nel sangue l’allegria e il garbo che trasudano dalla bella città di Siviglia (Spagna), dove nacque l’11 novembre 1903, ed anche la bravura e la fortezza che caratterizzano una persona spirituale come lei. La sua condizione di figlia unica non introdusse nel suo animo certe tendenze che avrebbero potuto rovinare la sua formazione umana. Semmai la tenerezza che le diedero i suoi genitori, molte volte con un certo aspetto asfissiante, le conferì forza, sicurezza e responsabilità. Anche una chiarezza e decisione per prendere le redini della sua vita in quello che era irrinunciabile: la fede, quella che imparò ad amare nella sua casa. Con notevoli risultati frequentò gli studi con le carmelitane della carità, nella prestigiosa scuola Carmen Benítez, ed imparò a dominare le tecniche pittoriche nella Scuola di Belle Arti. Accolse di buon grado il suggerimento paterno di realizzare il magistero pensando ad un futuro stabile professionale ed economico per lei, benché inizialmente non le piacesse la carriera, e superò gli esami. Nel frattempo, il suo spirito aperto a Dio da quando fece la prima comunione trovò l’alveo al quale provvidenzialmente era destinata. Questo non era altro che l’Istituzione Teresiana nella quale si integrò nel 1926 dopo essere stata un anno prima ad una conferenza sulla santa di Avila impartita da Josefa Grosso. Non qualificò questo momento come quello della sua conversione, dato che non c’era posto per questo, bensì “il pomeriggio dell’incontro” che, in ogni caso, cambiò la sua vita. Perché l’Istituzione le permetteva di coniugare i suoi affanni spirituali con l’insegnamento.

Creativa, audace, con grandi doti per la pedagogia, iniziò il suo cammino in un paesino della Estremadura, Cheles, Badajoz. L’accompagnava sua madre, di salute delicata, che aveva sempre assistito, combinando studi e lavori domestici. Durante il corso dal 1927 al 1928 fece della scuola uno spazio arricchente per gli alunni che videro con soddisfazione prolungato il loro orario scolare con attività complementari che ella introdusse: canti, cucitura, escursioni campestri… La sua seconda ed ultima destinazione fu Hornachuelos, Cordova, dove si impegnò nella stagione estiva del 1928 con 25 anni ed un’infinità di progetti. Si trovava bene a Cheles, ma era cosciente che non poteva mantenere i suoi genitori separati ed una località vicina a Siviglia avrebbe permesso di mantenere l’unità familiare che caratterizzò la sua casa. La parrocchia e la scuola raccolsero le sue insonnie. Diede impulso alla catechesi infantile, le Figlie di Maria, l’Azione Cattolica e diede una nuova spinta all’Associazione Missionaria della Santa infanzia riorganizzandola. Bolliva in lei un intenso affanno apostolico: “Quanto desidererei lavorare per le missioni! Quello fu il principio della mia vocazione, e mi creda che se un giorno mi fosse possibile lavorare più vicino ad esse, con tutto il mio cuore lo farei”. 

Rispetto alla scuola che aiutò a riedificare, non fu più la stessa con la sua presenza. Impiantò esperienze apprese a Cheles aggiungendo alle escursioni, lezioni di ginnastica, pittura… Non si dimenticò delle donne, a cui portò la cultura in corsi notturni. Mise in moto una biblioteca e favorì quanto poté le famiglie senza risorse; era una persona generosa. Fu designata Presidentessa del Consiglio Locale del Paese. In mezzo alla bonaccia, un gemito di furia cominciò a scatenarsi con la proibizione di impartire catechesi, con la ritirata dei crocifissi nelle aule… Tentò di conciliare la situazione con pazienza e carità, senza adattarsi ad imposizioni che contravvenivano alle sue profonde convinzioni spirituali. Era chiaro: “Se è necessario dare la vita per identificarsi con Cristo, il nostro divino modello, da oggi smetto di esistere per il mondo, perché la mia vita è Cristo e morire un guadagno”. Nel 1934 sostenitori della Seconda Repubblica incendiarono la chiesa. Dal più profondo del suo essere germogliava la sua valorosa offerta a Dio: “Chiedimi il prezzo!”. La morte si addensava sulla sua testa, ma ella sapeva che nessuno può distruggere l’anima. Continuò ad andare a messa, ascoltando l’invito al perdono e alla pace del parroco, in mezzo ad un ambiente minaccioso.

La stagione estiva del 1935 la passò a León, partecipando ad un corso organizzato dalla sua Istituzione. Ritornò con rinnovata fortezza davanti ad un eventuale martirio. Il suo fondatore ricordò che se quel momento fosse arrivato, Dio avrebbe dato loro le forze per affrontarlo. Avrebbe potuto andarsene da Hornachuelos, ma scelse di restare vicino alla gente che tanto amava. Con la sua casa assediata prese la comunione il 19 Luglio 1936. Il giorno dopo i miliziani arrestarono il parroco. L’11 agosto andarono per lei. Quell’alba, ammanettata insieme a 17 uomini, percorse 12 km. a piedi fino alla Mina del Rincon. Per la strada li incoraggiava: “Coraggio, affrettatevi! Ci aspetta il premio…. Vedo il cielo aperto”. I suoi tormentati occhi li videro cadere uno ad uno. Ella, trovandosi vicino all’imboccatura del pozzo minerario, fu l’ultima. Ma tanto orrore non vinse la fede. Inginocchiata, con un’immagine di Maria nelle sue mani, confessò: “Dico quello che sento. Viva Cristo Re! Viva mia Madre!”. All’interno della fossa della miniera rimase il suo corpo inerte il 12 agosto del 1936. Campane di gloria disegnate nell’aria suonavano per lei.

Giovanni Paolo II l’elevò agli altari il 10 ottobre 1993.

© Isabel Orellana Vilches, 2018
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