Religiosa marcellina. La premura nell’esercizio della carità fu una delle numerose virtù che la adornarono. Era una brillante pedagoga che seppe infondere nelle sue allieve l’amor di Dio. La madre di Paolo VI fu una di esse.
Questa beata nacque nella località italiana di Brivio, Lecco, il 21 aprile 1829. Fu la quinta di otto fratelli di un’onesta famiglia agiata. I suoi genitori Giovanni Maria Sala e Giovannina Comi, entrambi cattolici impegnati, diedero a tutti i loro figli una solida formazione cristiana. Giovanni era un industriale di successo, commerciante di legname, e la sua eccellente situazione economica gli permise di inviare la beata alla scuola privata, nella quale la sua insegnante Alessandrina apprezzò la sua viva intelligenza e le singolari qualità per l’apprendistato.
Uno dei luoghi che Maria Anna normalmente frequentava era l’Oratorio di San Leonardo, eretto in un posto vicino a Brivio. Lì, insieme a sua sorella, in alcuni istanti di somma angoscia supplicò l’intercessione della Vergine affinché sua madre guarisse da una grave malattia. Le due pregarono con tanta fede che mentre elevavano le loro preghiere, la Vergine apparve a Giovanna la mamma, la benedisse e la guarì. In quell’epoca il beato Luigi Biraghi aveva messo le basi per la fondazione della Congregazione delle Sorelle Marcelline con l’obiettivo di procurare una formazione integrale cristiana alle giovani attraverso centri educativi. Le considerò in anticipo come fedeli trasmettitrici dei valori cristiani alle famiglie che potessero formare, giudicandole la chiave per il progresso della società. Una magnifica percezione.
Nel 1842 Maria Anna, che aveva mostrato eccellente attitudine per gli studi, fu iscritta dai suoi genitori al pensionato che queste religiose inaugurarono a Vimercate, come poi avrebbero fatto con altre due loro figlie. La collaboratrice del padre Luigi Biraghi, madre Marina Videmari, seguiva attentamente la formazione della beata che non solo completò gli studi con successo, laureandosi nel 1846, ma sentì la chiamata della vocazione. Circostanze familiari inaspettate come la malattia di sua madre e la grave frode assestata a suo padre che implicò la perdita dei beni economici, resero necessaria la sua presenza a casa. Davanti a questo imprevisto colpo ella fu un balsamo per tutti. Ma il 13 febbraio 1848 iniziò il noviziato a Vimercate con le Sorelle Marcelline. Il suo buon carattere, fermezza, equilibrio e sensibilità, concatenate in una solida vita interiore e zelo apostolico, fecero di lei un’esemplare religiosa.
Le circostanze politiche che impedivano di stabilire formalmente l’Istituto differirono l’istante della sua professione che finalmente avvenne il 13 settembre 1852. Si santificò col motto “Vengo subito”, espressione esterna della sua premura per piacere a Cristo negli altri, accorrendo prontamente a qualunque chiamata, per la quale lasciava subito quello che stava facendo per importante che fosse. La sua obbedienza non ebbe accezione di persone né fu selettiva. Non considerò mai se era rilevante il motivo che la privava di un tempo prezioso che avrebbe colmato la sua anima contemplativa. La sua sollecitudine evangelica, povertà ed umiltà trasudavano nelle lezioni che impartiva nell’aula. La presenza di Dio che batteva nel più profondo del suo essere e che alimentava tutti i momenti del suo giorno per giorno colpiva tanto le sue allieve che non nascondevano la loro predilezione per lei. Una delle sue migliori discepole fu Giuditta Alghisi, la madre di Paolo VI. Il suo apostolato diventò palese nelle scuole di Cernusco, Milano, Genova e Savoia. Benché le costasse staccarsi dai suoi superiori, sorelle ed allieve, quel tratto di sollecitudine che la caratterizzava si manifestava nella sua piena acquiescenza alla volontà dei suoi superiori, e partiva compiaciuta per il suo destino. Sebbene, matura e sincera, riconoscesse umilmente: “Sento la separazione, ma Dio è buono con me”.
Afflitta e serena, con un spirito aperto alla volontà divina, alimentato dall’orazione, accolse tutte le prove alle quali fu sottoposta. Fu dolce e ferma allo stesso tempo, con religiosa chiarezza, molto richiesta per la sua virtù e i fondati consigli, come si percepisce in alcuni frammenti delle sue lettere: “… cerca di mantenerti forte ed in salute perché è così come potremo realizzare meglio il nostro lavoro. Mantieni la tua allegria e pensa che Dio ha realmente preferenza per te e ti aiuterà più di quello che pensi nel lavoro di educare ed insegnare correttamente alle tue allieve. Non pensare che il tuo lavoro sia tempo perso, benché non veda immediatamente il frutto del tuo lavoro, abbi pazienza e con l’aiuto di Dio, il tuo lavoro nella vigna del Signore si vedrà ricompensato […]. Dio non ci darà mai un lavoro superiore alle nostre forze”.
Provata nella sofferenza, contrasse un cancro alla gola, alludendo al quale lo chiamava “la sua collana di perle”. Spesso, il dolore le impediva di dare le lezioni. Squisita nel trattamento, benché l’impedimento per servire debitamente le sue alunne fosse la tosse, presentava le sue scuse. E continuò a compiere la sua missione con un sereno sorriso, considerando che, nella sua donazione, Dio l’avrebbe aiutata ad essere santa. Era il suo cammino di perfezione, impastato fedelmente nelle circostanze quotidiane che dovette affrontare. Arrivando l’autunno del 1891 per quindici giorni la malattia si accanì su di lei fisica e animicamente, e soffrì con indicibile intensità. Il 24 novembre di quell’anno morì dicendo “Regina Virginum”. Nel 1920 si trovò il suo corpo incorrotto.
Fu beatificata da Giovanni Paolo II il 26 ottobre 1980.
© Isabel Orellana Vilches, 2018
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