Basta un “sì”, è sufficiente. Un “sì” detto con gioia grande, o con tremore; con sorpresa, con paura o, a volte, detto piano, con il dolore di chi vede solo ciò che lascia. Ci vuole coraggio, dicono…io penso che ci vuole un miracolo.
Stesa a terra, il giorno dei voti miei e di Chiara, ascoltavo i Santi, invocati dal canto delle litanie, e sentivo l’emozione palpabile intorno a noi. Ho ricordato tutte quelle persone alle quali devo la mia vocazione… “Mi hai guidato, Santissima Trinità, a questo Istituto con misteriosa Provvidenza”…incontri provvidenziali, parole coraggiose e scomode, dette per amore; parole che io spesso ho accolto con rabbia, con orgoglio, con paura…eppure hanno inciso dentro di me un solco che è passato inosservato fino al giorno in cui io, profondamente delusa e davvero stanca di me stessa, non ho potuto fare altro che mollare la presa e lasciarmi scivolare…allora quel solco indelebile e sconosciuto si è rivelato il sentiero verso un amore tanto profondo e pieno che mai avrei potuto immaginarlo, e che subito ho riconosciuto come il mio unico destino.
La pace che ho dentro oggi dice che Dio ha vinto la sua battaglia. Cristo è luce nella tenebra del mio peccato. Cristo è pace e forza, nella confusione delle mie fragilità. Guardandomi intorno, quel giorno, tra tanti volti felici e commossi, dicevo a Cristo: «E se non ti avessi detto “Sì”? Non posso neanche pensarlo, tra tanta gioia». Solo un “sì”, sussurrato per fede, per non perdermi quell’Amore che prometteva vita vera…il resto lo ha fatto Dio e continua a farlo, mostrandomi quanta strada ancora ci separa, quanto male ancora lascio entrare nella stanza in cui mi chiede di aspettarlo.
E intanto fa miracoli, commuove i cuori, apre orizzonti e crea comunione. Come quella che si respirava al Santuario del Corpus Domini quel giorno: la stessa gioia condivisa da cinque figli della stessa madre, la Chiesa: la comunità di Nomadelfia, dove sono cresciuta vedendo con i miei occhi che lasciare tutto per Cristo rende la vita piena e feconda; le Sorelle Clarisse, che tanto mi hanno accompagnata con i loro sorrisi e la loro preghiera; la Piccola Famiglia dell’Annunziata, che in un segno commovente di amicizia ha voluto esserci nonostante gli impegni parrocchiali; i Frati Minori dell’Osservanza, veri e propri fratelli, compagni di sogni apostolici ed esempi di dedizione e coraggio; i missionari e le missionarie Identes, questa mia famiglia innamorata della Trinità, che con pazienza e misericordia mi accoglie e mi insegna a riconoscere e percorrere sulla terra le vie del Cielo.
Sono stata coraggiosa, nel dire il mio “Sì”? Io non credo. Credo, piuttosto, che quando Dio parla tanto chiaro a un’anima che ha sete di pienezza e di un amore eterno, quell’anima non può più vivere senza cercare quella voce, e brucia nel desiderio di vedere come sia il volto da cui proviene…è tutto qui il mistero e il miracolo di una vocazione. Il vero coraggio, forse, sta nel programma di vita che mi ha prospettato mio padre quando, quella sera, ci siamo salutati: «Adesso, però, bisogna perseverare». Con la Grazia di Dio, seguendo l’esempio della famiglia in cui sono cresciuta e con l’aiuto e il sostegno di questa famiglia nuova che Dio mi ha dato, mi preparo a fare di questo “sì” il canone della mia quotidianità.
Questa mia risoluzione, però, non nasce dal coraggio: nasce, piuttosto, dalla gratitudine profonda e da un senso di responsabilità, per un debito che in questi anni ho accumulato. Sono in debito verso tutti quei giovani che camminando insieme a me hanno definito e arricchito la mia vocazione; sono in debito verso tutti quelli che per me pregano ogni giorno; sono in debito verso i miei genitori e tutti quegli apostoli che con fedeltà e obbedienza mi hanno aperto gli occhi a una vita diversa; sono in debito verso quei ragazzi e bambini che con la loro assoluta fiducia in me mi insegnano con quale abbandono dovrei affidarmi al mio Padre Celeste. Ognuno di loro ha diritto a pretendere la mia perseveranza in una vita di donazione autentica e totale.