di p. Luis CASASUS, Superiore Generale dei missionari Identes.
New York, 28 giugno 2020 | XIII Domenica Tempo Ord.
2Re 4, 8-11.14-16a; Lettera ai Romani 6, 3-4.8-11; S. Matteo 10, 37-42
Gesù parla ai suoi discepoli di quel tempo e oggi anche a noi, di esigenze radicali e sorprendenti, se le interpretiamo letteralmente.
Nessun rabbino esigeva tanto a quelli che lo seguivano. Forse per questo, un giorno gli ebrei domandarono a Gesù: chi pretendi di essere? (Gv 8,53).
Gesù non poteva e non voleva contraddire il meglio della Legge ed i saggi comandamenti che esigevano di onorare il padre e la madre, gli anziani, ed educare e curare i figli.
Il messaggio del Vangelo di oggi non vuol dire che l’amore per Cristo e l’amore per la famiglia o altri esseri cari si escludano mutuamente. Piuttosto, Gesù sta tentando di dirci che tutti i nostri affetti devono essere diretti e modulati dal nostro amore per Lui. Questo certamente include l’amore per i nemici. Perché dovrei amare il mio nemico? Non è per semplice compassione, o per guadagnare meriti, per quanto difficile possa essere. La ragione più essenziale è che il nostro Padre fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti. (Mt 5, 45).
Dobbiamo ringraziare Gesù perché ci dà la ragione per amare il nemico. Ma oggi ci sta suggerendo che tutto il nostro amore, includendo l’amore per le persone più vicine e care, richiede un profondo sforzo affinché sia l’amore di un vero cristiano, di uno dei suoi discepoli. In particolare, dobbiamo vivere distaccati dalle persone che amiamo; non possono essere in nessun modo strumenti al servizio dei nostri affetti o dei nostri piani.
A volte, anche la Provvidenza ci porta ad allontanarci dalle persone che più amiamo per servire altri figli di Dio. Un giorno, perfino Gesù abbandonò la sicurezza fornita dalla casa di Nazareth. «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo». (Mt 8, 20). Abbandonò anche la famiglia: «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?». Poi stendendo la mano verso i suoi discepoli disse: «Ecco mia madre ed ecco i miei fratelli; (Mt 12, 48-50).
Questo segna una differenza essenziale tra l’amore del mondo e l’amore del Vangelo. Se non viviamo quell’amore distaccato, libero dall’istinto di felicità che esige con urgenza il vedere dei risultati, dei cambiamenti, i frutti dei nostri sforzi, abbandoneremo facilmente le persone e il nostro amore si trasformerà perfino in odio.
Ma il discepolo di Gesù sa che il suo umile contributo servirà per confermare il lavoro dello Spirito Santo. Questo spiega perché Cristo ci parla del valore di un semplice bicchiere di acqua che si dà al pellegrino, a colui che va alla ricerca di Dio, o all’apostolo, o al profeta. Un giorno, la persona che amiamo con l’amore del Vangelo troverà la sua vera vita, non senza quella piccola luce, magari inavvertita o dimenticata da molti, ma che serve come una semplice lampada per illuminare i passi nella notte ed arrivare alla casa del Padre.
Pertanto, colui che semina per il regno dei cieli vive gioioso: sa che non è solo, nonostante quello che pensino gli altri, nonostante le persecuzioni, nonostante le molte forme di separazione o indifferenza.
In questi giorni abbiamo ricordato nella liturgia della messa l’esempio di Eliseo, del quale si dice: Nulla fu troppo grande per lui; nel sepolcro il suo corpo profetizzò. Nella sua vita compì prodigi e dopo la morte meravigliose furono le sue opere. Con tutto ciò il popolo non si convertì e non rinnegò i suoi peccati, finché non fu deportato dal proprio paese e disperso su tutta la terra. (Sir 48, 13-15).
È molto certo che abbiamo bisogno di essere continuamente confermati nella nostra missione. Lo Spirito Santo lo fa in molti modi, non solo con qualche “successo” visibile. Soprattutto, ci mostra il perdono attivo del nostro Padre celestiale, perché ogni giorno c’invita con fiducia ad una missione, a badare alle anime in un modo nuovo. Altre volte, Dio ci dà segni che per altri sono irrilevanti, o solo coincidenze. Ma per la persona alla quale si dirige lo Spirito Santo, hanno il potere di cambiare la sua vita:
Un giovane che era stato formato come ateo si stava allenando per essere un sommozzatore olimpico. L’unica influenza religiosa nella sua vita venne da un sincero amico cristiano. Il giovane sommozzatore non prestò mai molta attenzione ai messaggi del suo amico, ma li ascoltava spesso.
Una notte il sommozzatore andò alla piscina coperta dell’università nella quale studiava. Le luci erano spente, ma siccome la piscina aveva grandi lucernari e la luna brillava, c’era molta luce per fare pratica. Il giovane salì sul trampolino più alto e quando diede la schiena alla piscina nel bordo del trampolino e stese le braccia, vide la sua ombra sulla parete. L’ombra del suo corpo in forma di croce. Invece di immergersi, si inginocchiò e chiese a Dio di entrare nella sua vita. Mentre il giovane stava in piedi, un impiegato del mantenimento entrò ed accese le luci. La piscina era stata vuotata per fare riparazioni.
Gesù sta parlando oggi dei piccoli. I piccoli sono quelli che sono usciti in missione. Alcuni pensano che i piccoli siano solo bambini minori o i poveri ed indifesi. Ma nel contesto di oggi, i piccoli sono i discepoli. Li si chiama piccoli perché sono insignificanti agli occhi del mondo. Quelli che rispondono in qualche modo quando si proclama il Vangelo, saranno benedetti. Ed avremo l’incredibile benedizione di sapere che Dio ci sta usando. Portare qualcuno alla fede in Cristo è una delle maggiori gioie che possiamo sperimentare.
Dobbiamo essere preparati, perché Dio ci chiama ad una missione in modo inaspettato, in qualunque momento. A volte quasi non siamo coscienti di come ci utilizza come strumenti di salvezza, ed altre volte lo fa in un modo che è visibile a tutti, servendo come testimonianza di come una creatura rifletta nella sua piccolezza l’immenso amore del Padre.
Il 13 gennaio 1982, Arland Williams era passeggero di un volo domestico che partiva da Washington D.C. verso la Florida. Williams aveva sempre avuto paura dell’acqua e era nervoso perfino per i requisiti di nuoto che gli chiesero nella sua università.
Quando il volo partì, Washington, D.C. aveva e stava sperimentando un clima invernale inusuale. Quasi sette pollici di neve ed una temperatura di meno 5°C. Benché il volo avesse potuto decollare, non guadagnò l’altitudine necessaria e cadde nel gelato Fiume Potomac. Solo sei dei 79 occupanti dell’aeroplano si ritrovarono vivi nell’acqua gelata. La squadra di salvataggio che finalmente arrivò sul posto non poté aiutare i sopravvissuti perché non avevano la squadra attrezzata per arrivare da loro nel largo fiume. Inoltre, l’acqua gelata ed i grandi pezzi di ghiaccio facevano sì che nuotare verso di loro fosse poco fattibile. Tutti gli sforzi risultarono inutili.
Fu allora quando Williams, mentre ancora galleggiava nel fiume congelato, fece l’unica cosa che poteva fare per aiutare gli altri cinque sopravvissuti ad andare in un posto sicuro. Quando arrivò un elicottero per raccoglierli, Williams insistette che gli altri si salvassero per primi. Si lanciarono giubbotti di salvataggio, poi un pallone galleggiante; Williams lasciò che gli altri li usassero per primi. Altre due volte passò il cavo dell’elicottero agli altri invece di usarlo egli stesso. Mentre l’elicottero trasportava gli altri cinque verso la riva, la sezione della coda dell’aeroplano sconquassato affondò del tutto, trascinando Williams sul fondo.
Nella Prima Lettura, l’atteggiamento generoso di questa donna sensibile ed anonima di Shunem, ci permette di comprendere che i frutti delle nostre azioni sono inaspettati. Ella, nella sua vecchiaia, pensò che la promessa di Eliseo che l’anno che viene accarezzerebbe un figlio era un scherzo. Ma l’annuncio del profeta si realizzò in modo infallibile.
Oggi diamo il benvenuto a Cristo come la donna di Shunem diede il benvenuto al profeta Eliseo. Ma il Cristo che accogliamo è il Cristo che diede la sua vita per gli altri, e le nostre celebrazioni sarebbero un scherzo se non fossimo preparati per accoglierlo nell’altro, perfino nei fratelli più complicati e difficili, senza stancarci di mostrar loro il nostro affetto, il nostro perdono ed il nostro desiderio di camminare insieme.
Potremmo dire che l’ospitalità è il primo passo verso la carità. Essere disposto ad ascoltare una persona, pianificare come passare il tempo con una persona, accogliere qualcuno quando sono molto occupato, aiutare qualcuno quando realmente ho pochi mezzi per farlo…. Se inviti la gente a cenare per impressionarli con la tua casa, o per compiere un obbligo sociale, o per creare in essi un senso di obbligo sociale, affinché dopo ti invitino a casa loro, puoi riuscire in quegli obiettivi. Ma non ci sarà nessun beneficio spirituale, perché non c’è stata nessuna intenzione spirituale.
Ma se inviti a cena persone afflitte, poveri, invalidi, zoppi e ciechi… non potranno restituire l’invito. Pertanto, siccome la tua intenzione era spirituale, anche la tua ricompensa sarà spirituale. La tua ricompensa verrà dallo Spirito, e contribuirà a che tu abbia una coscienza più profonda, una maggiore visione del regno dei cieli.
Ovviamente, l’ospitalità non è solo offrire un cibo o una stanza, bensì piuttosto condividere la mia intimità e dare il benvenuto all’intimità dell’altro con sincero affetto e compassione. Perché Dio vuole sempre dirmi qualcosa attraverso la presenza di un essere umano. A volte diciamo per gratitudine ad una persona: Sei stato un angelo per me. Ma altre volte non sospettiamo che un essere umano è stato inviato nella nostra vita come un angelo messaggero: la sua presenza, il suo atteggiamento gradevole o duro, mi parlerà della volontà di Dio per me, in questo momento.
Gesù stabilisce un’altra richiesta per seguirlo, ancora più drammatica: la volontà non solo di perdere tutto, ma anche di rinunciare alle nostre vite.
L’immagine della croce si riferisce alle conseguenze inevitabili che trova chi vuole vivere secondo i dettami del Vangelo: come il Maestro, avrà la sua croce.
Noi non scegliamo la nostra croce. Ci viene data nelle nostre proprie limitazioni, siano esse morali, materiali, fisiche o spirituali. Anche attraverso l’invidia, la violenza e l’odio di questo mondo. La croce rappresenta il nostro costante e generoso rinnegamento, il nostro auto-sacrificio. Ma oggi Gesù ci dice che la croce è veramente uno strumento per seguirlo, come lo fu affinché Egli ottenesse la nostra redenzione.