“Degno discepolo del beato Cusmano, il suo fondatore, tutto in Spoto mette di manifesto che la sua esistenza fu una fiamma d’amore per Cristo fino al martirio avvenuto nel Congo”.
In questa festività di san Giovanni Evangelista, esaminando la vita di Spoto che la Chiesa celebra anche oggi, si torna a scoprire che il bagaglio di un apostolo non è altro che la croce. Da essa estrae l’imponente forza per emulare Cristo, incarnando la sua missione con religiosa intrepidezza, disposto sempre per amor di Lui a spargere il suo sangue, se è necessario. In difficilissime condizioni, rischiando la sua vita, Francesco volle correre la stessa sorte dei suoi fratelli nella fede.
Nacque l’8 luglio 1924 nella località italiana di Raffadali (Agrigento, Sicilia). Fu uno dei tre figli di un onesto e credente matrimonio che viveva in modo esemplare. Diedero ai loro rampolli la cosa migliore che possedevano: la fede. La madre mise il piccolo sotto la protezione di san Francesco Saverio e passato il tempo egli avrebbe emulato questo grande missionario. Il capofamiglia soffriva una invalidità che colpiva la sua gamba sinistra, causata da una lesione contratta durante la guerra del 1915-1918. Con tutte le difficoltà affrontava il suo giorno dopo giorno dando testimonianza ai suoi figli di fortezza, sforzandosi per provvedere del necessario la sua famiglia, accompagnato dalla sua fedele ed abnegata moglie. Di quell’epoca, il beato avrebbe ricordato affettuosi gesti di pietà imparati nella casa che sono stati patrimonio di molte altre persone, come, per esempio, baciare il pezzo di pane che è caduto a terra per avere apprezzato in esso il simbolo del Corpo di Cristo.
Sicuro che lo avranno riempito d’orgoglio e l’avranno edificato la generosità e tenerezza dei suoi genitori che l’educarono ed accompagnarono spiritualmente in quei primi anni della sua vita. Di fatto, tanto colpirono il suo spirito gli insegnamenti che gli diedero che nel 1936 entrò nel seminario della Congregazione dei Missionari Servi dei Poveri. Professò nel 1940. Nel 1951 fu ordinato sacerdote, e nel 1959 fu designato superiore generale. Al di là della sua gioventù, 35 anni, fatto che richiese una dispensa della Santa Sede per potere assumere questo alto incarico, si tenne conto delle sue molte virtù e qualità. Era un asceta, un uomo di autentica orazione. In essa si forgiarono la sua carità, umiltà ed obbedienza manifestate in ogni momento, qualunque fossero le circostanze dell’avvenimento.
Si caratterizzò per il suo alto senso di responsabilità, la tenacia e per l’ardore apostolico che batteva nella sua anima missionaria. Ricevendo il sacramento dell’ordine aveva preso nota del passaggio evangelico “Andate e predicate”… che sintetizzava i suoi aneliti. Passò per l’orfanotrofio della Congregazione di Via Pindemonte a Palermo, insegnò francese ed esercitò un’intensa missione pastorale insieme alle Serve dei Poveri. In qualunque azione che svolgeva, la sua efficacia al servizio del vangelo era più che patente. Con una grande formazione intellettuale che mise al servizio dell’evangelizzazione, esercitò un encomiabile lavoro giornalistico e letterario, senza barlumi di vanità, né di orgoglio, lontano dalla fama e dagli orpelli. Lasciò numerosi scritti. Fu un grande predicatore e comunicatore; un oratore eccellente che seppe trasmettere accuratamente la forza della Parola di Dio attraverso omelie preparate con la sua vita di donazione nell’orazione. Era onesto e giusto; era sempre disponibile per tutti.
Ammirato, rispettato e tanto caro per i membri della Chiesa come per i suoi fratelli, dei quali già si occupava con grande delicatezza, fu fedele trasmettitore del carisma del suo fondatore, il padre Cusmano. Una delle sue grandi debolezze furono i poveri. Con penetrante visione diede impulso all’Ordine, promosse vocazioni ed aprì case in diversi posti. Il suo predecessore fondò la missione sul Congo, ed egli continuò alimentandola. Precisamente, in questa Repubblica Democratica africana passò l’ultima tappa della sua vita. Arrivò da Biringi nell’agosto del 1964. La situazione altamente difficile e impegnata dei suoi fratelli, dovuta a questioni di indole politica, fece sì che accorresse a confortarli personalmente. Allora molti religiosi e religiose spargevano il loro sangue per Cristo in mezzo alla persecuzione alla quale erano sottoposti Il beato non ignorò che egli stesso poteva aggiungersi a questo insigne gruppo di apostoli, perdendo la sua vita.
In un momento dato, prevedendo di poter non ritornare rimise il suo incarico apostolico nelle mani dell’Ordine, poiché non era disposto a lasciare i suoi fratelli. Nel novembre di quell’anno incominciò una dura persecuzione contro di essi che si videro obbligati a fuggire senza una meta sicura, molestati dai Simba che volevano la loro morte. In mezzo a quella tragedia il padre Spoto scrisse un diario nel quale narrava in modo particolareggiato quello che accadde. Il 3 dicembre di quell’anno 1964 i suoi fratelli furono catturati. In una notte spaventosa, pieno di ferite, scalzo, assetato ed affamato, scappò correndo nel bosco. Il giorno dopo vide con gioia che i suoi fratelli erano stati liberati. Ma l’11 dicembre fu attaccato con tale furia che rimase paralizzato. Ed in quelle condizioni lo trasportavano per la selva con un’estemporanea e rustica barella fuggendo dai rapitori. Sopravvisse fino al 27 di dicembre, giorno in cui morì nell’umile capanna nella quale si ripararono. I suoi fratelli che poterono ritornare più tardi in Italia, depositarono i suoi resti in un posto vicino.
Fu beatificato da Benedetto XVI il 21 aprile 2007.
© Isabel Orellana Vilches, 2018
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