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Santo

Beata Giulia Nemesia Valle, 18 dicembre

By 17 Dicembre, 2024No Comments

“La difficile situazione familiare, che riempì gli anni della sua infanzia, rafforzò questo membro delle Figlie della Carità, che si caratterizzò per la sua edificante carità. Si donò in modo tale che fu chiamata l’angelo di Tortona”.

Oggi, festività di Nostra Signora della Speranza, la Chiesa celebra la vita di questa beata che dilapidò carità e generosità intorno a sé. Inoltre, nel convento sperimentò la gioia che accompagna i seguaci di Cristo, gioia che la sua stessa casa le aveva negato per diverse circostanze.    

Nativa di Aosta (Italia), nacque il 26 giugno 1847, dopo che erano deceduti prematuramente due fratelli precedenti. Il lavoro dei suoi genitori, commercianti e proprietari di un commercio di cucitura, le permisero di godere di una vita agiata e senza soprassalti nella quale la nascita di suo fratello Vincenzo portò una nota di singolare allegria. Sua madre fu inculcando loro valori essenziali, come la generosità. Ma quando Giulia aveva 5 anni, trovandosi stabilita tutta la famiglia a Besançon (Francia), la mamma morì e la situazione subì un cambio radicale. Per cominciare, suo padre inviò i due figli a casa di alcuni suoi parenti che risiedevano ad Aosta. Poi altri parenti materni stabiliti a Donnas li sostituirono nel delicato compito educativo, un viavai che non fu gravoso per i piccoli al quale non mancò niente. A Donnas, oltre a frequentare studi nella scuola, ricevettero formazione nelle verità della fede che forniva loro, a casa sua, un sacerdote, amico dei loro parenti.     

A 11 anni Giulia si trasferì a Besançon, in un pensionato francese diretto dalle Sorelle della Carità fondate da santa Giovanna Antida Thouret. Benché potesse essersi abituata alle separazioni familiari, nuovamente soffrì per questo trasferimento. La mancanza del calore che avrebbe potuto avere vicino a suo padre e suo fratello, lo trovava in Gesù: “Il Signore. che ha sua mamma al suo fianco”. Ben formata intellettualmente ed umanamente, e dando dimostrazioni di grande delicatezza e bontà, cinque anni più tardi, quando aveva 16 anni, ritornò insieme a suo padre. E si trovò con uno scenario completamente diverso da quello che lasciò quando era partita bambina. Il suo genitore aveva contratto nuovo matrimonio, e risiedeva a Pont Saint Martín. I problemi di convivenza intorbidavano il trattamento familiare in modo tale che, alla fine, suo fratello Vincenzo se ne andò da casa, e si perse per sempre. Per fortuna, le Sorelle della Carità aprirono una casa nella località, e poco a poco Giulia andò conoscendo più da vicino la loro forma di vita, e, quando suo padre le menzionò la possibilità di contrarre matrimonio, aveva già deciso di essere religiosa.    

L’8 settembre 1866 iniziò il noviziato a Vercelli, nel convento di Santa Margherita. Suo padre non si oppose e l’accompagnò quel giorno; una volta di più, ci fu una dolorosa separazione per lei. Ma la serenità che trovò nel monastero inondò il suo futuro di allegria e le riportò la pace che non aveva ottenuto prima. Decisa a lottare per raggiungere la perfezione, supplicava: “Gesù spogliami di me stessa e, rivestimi di Te. Gesù per te vivo, per te muoio…”. Professando prese il nome di Nemesia in onore ad un santo martire, con l’anelito di consegnare la sua vita a Cristo essendogli fedele fino alla fine. Fu destinata a Tortona. E lì impartì lezioni di lingua francese a scolare delle elementari e ad altri alunni di corsi superiori.     

Presto emerse per la sua bontà e generosità non solo nel vicino ambiente religioso ed accademico ma anche in tutti gli altri. Tra gli altri, si trovò ad assistere per quanto le fu possibile Luigi Orione, il fondatore dei Figli della Divina Provvidenza ed accolse in varie occasioni la beata Teresa Grillo Michel, fondatrice delle Sorelle della Divina Provvidenza ad Alessandria. Così aprì vie di collaborazione apostolica con essi, condividendo lo stesso ideale di amore cristiano. Quelli che avevano constatato la sua capacità di ammorbidire gli spigoli della sofferenza e le carenze: poveri, orfani, famiglie, soldati e perfino i sacerdoti del seminario, si sentivano trattati da Giulia in un modo singolare, reclamavano la sua presenza e ringraziavano per la sua attenzione. Dà idea di questa convinzione comune il commento popolare: “Oh, che cuore quello della sorella Nemesia!”. Per la sua carità fu denominato “angelo di Tortona.”    

A 40 anni di età fu eletta superiora, missione che esercitò con lo spirito di servizio, umiltà e generosità che la caratterizzava. Diceva: “Affrontare il passo, senza voltarsi indietro, fissando un’unica meta: Solo Dio! […] A Lui la gloria, agli altri l’allegria, a me il prezzo da pagare, soffrire ma mai fare soffrire. Sarò severa con me stessa ed ogni carità con le sorelle: l’amore che si dona è l’unica cosa che rimane”. Fu buona e comprensiva, paziente e sottile. Seppe consolare ed accompagnare ognuna delle sue sorelle dando il consiglio giusto che conveniva alla loro psicologia. Incoraggiò tutte a vivere la virtù. Sapeva che “la santità non consiste in fare molte cose o in fare grandi cose, bensì in fare quello che Dio ci chiede di fare, e farlo con pazienza, amore e soprattutto nella fedeltà come è il nostro dovere, frutto di un grande amore.”    

Nel 1903 abbandonò Tortona, dove era da trentasei anni, e partì per Borgaro Torinese. Lasciò una nota alle novizie: “Vado via contenta, vi affido alla Vergine […]. vi seguirò in ogni momento del giorno”. A Borgaro, la sua forma di trattamento, tanto stimata dalle sue novizie, non era condivisa dalla superiora provinciale, donna incline alla rigidità e all’esigenza esagerata. Ma la beata accolse in silenzio e sorridendo le sgridate e le umiliazioni che soffrì. Rimase lì tredici anni. Circa 500 religiose furono formate da lei. Morì il 18 dicembre 1916 di una polmonite. 

Giovanni Paolo II la beatificò il 25 aprile 2004. 

© Isabel Orellana Vilches, 2018
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