di p. Luis CASASUS, Superiore Generale dei missionari Identes.
Madrid, 18 luglio, 2021. | XVI Domenica Tempo Ord..
Geremia 23: 1-6; Lettera agli Efesini 2: 13-18; San Marco 6: 30-34.
¿Come rispondo quando i miei figli, fratelli ed amici interrompono il mio riposo, la mia orazione o i miei piani? Che cosa provo verso di loro?
E quali sono i miei pensieri, i miei sentimenti e le mie reazioni quando ho l’impressione che Dio mi chieda sempre di più… forse in un momento che non considero dei migliori della mia vita?
Questo potrebbe essere l’inizio della nostra riflessione di oggi, quando, a volte, ci sentiamo in una situazione simile a quella di Gesù e degli apostoli nel testo evangelico di questa domenica. È chiaro che queste situazioni, essere interrotto, non avere tempo per mangiare, essere chiamato continuamente ad aiutare o sentirsi impotente a confortare gli altri, esisteranno sempre. A volte perché noi esseri umani siamo impertinenti ed ostinati, altre per la disperazione che provoca il dolore e – come no – perché il tempo di Dio non è il nostro. È interessante vedere come lo stesso Cristo ebbe questa esperienza, ricevendo immediatamente una missione da compiere con la folla che era come pecore senza pastore; e cominciò ad insegnar loro molte cose.
Oltre all’ovvia necessità di mangiare e riposare, credenti e non credenti, quando siamo realmente stanchi ed oppressi dal dolore, non possiamo rimanere obiettivi e capaci di ascoltare la voce di Dio. È per questo motivo che quando Gesù, fu informato della morte di suo cugino, Giovanni Battista, che fu decapitato dal re Erode, partì di là su una barca e si ritirò in disparte in un luogo deserto (Mt 14, 13). È precisamente in quei momenti quando abbiamo bisogno di tempo per elaborare i nostri sentimenti, le nostre paure e le nostre motivazioni soggiacenti. È nella solitudine e nel silenzio, quando lo Spirito Santo arriva alle nostre vite e mette tutte le cose in prospettiva.
Molti di noi che hanno sperimentato il sapore di un rilassamento molto necessario e che poi ce l’hanno tolto bruscamente, forse immaginiamo quello che gli Apostoli potrebbero aver sentito in quel momento. Ma Gesù non si sta comportando in modo sconsiderato con le necessità degli Apostoli. Offre loro – e offre a noi – una lezione vissuta. San Giovanni Paolo II scrisse: Tutta la vita di Cristo fu un insegnamento continuo: i suoi silenzi, i suoi miracoli, i suoi gesti, la sua orazione, il suo amore per le persone, il suo speciale affetto per i piccoli ed i poveri, la sua accettazione del sacrificio totale sulla Croce per la redenzione del mondo. Nella scelta di Gesù di insegnare, vediamo tutte queste cose: l’amore sacrificato, la preoccupazione per gli emarginati e la priorità delle necessità della gente sulle preferenze personali. Non sono ideali astratti. Sono realtà vissute quando ci sforziamo di vivere ed amare come Gesù. Quando un nuovo ostacolo entra nella mia vita, come rispondo?
Ricordo una situazione nella quale ad una certa donna tutto sembrava sfuggire dalle mani, tutto erano sorprese spiacevoli nella sua vita e, tuttavia, commosse molti di noi con la sua decisione di alzare lo sguardo verso Dio, di accettare tutti gli avvenimenti, non solo con pazienza, ma anche con l’intenzione esplicita di soddisfare Dio. Suo marito era deceduto recentemente ed il suo lavoro era troppo esigente in quanto a responsabilità e dedica di tempo.
Un giorno mi chiese che l’accompagnassi all’Unità Psichiatrica di un ospedale del Bronx per visitare la sua unica figlia, di 21 anni. La polizia l’aveva trovata per la strada disorientata e con segni di consumo di droghe. Subito ci rendemmo conto che il suo stato non era transitorio e che si era scatenato un processo di schizofrenia, molto più terribile e drammatico degli effetti passeggeri di un’esperienza con sostanze allucinogene.
L’informarono che avrebbe potuto vedere sua figlia solo per 20 minuti al giorno ed in presenza di un’infermiera, poiché aveva mostrato segni di proposito di suicidio. Ricordo la conversazione tra entrambe, nella quale la giovane diceva frasi completamente senza senso e la madre scoppiava a piangere sconsolatamente.
Alla fine della visita, quando riuscì a calmarsi un po’, mi disse Non capisco come può succedere questo, né perché, né quale sarà il risultato. Ma capisco una cosa: Dio vuole che ora io stia qui.
Quella fu la sua lezione di saggezza: essere cosciente che, in quei momenti di angoscia, la Provvidenza le stava chiedendo qualcosa. Questa prospettiva è possibile solo in uno stato di orazione, altrimenti, siamo condannati irrimediabilmente allo scoraggiamento, all’ira o ad uno stato di cinismo ironico. Dipende dal nostro temperamento.
Gesù cominciò la sua vita pubblica con un miracolo “non programmato”. Inoltre, disse esplicitamente che non era arrivata ancora la sua ora. Fu interrotto dalla donna che lo pregava di curare le sue emorragie, dai lebbrosi, dai bambini, da avvenimenti tragici come la morte di Lazzaro o di San Giovanni Battista.
Senza dubbio, il giovane Gesù imparò dei suoi genitori a vedere in tutte le circostanze i piani divini. Oltre la nostra comprensione o le nostre preferenze, quella è la motivazione di un vero cristiano, di un autentico apostolo.
Quando María fu informata che Elisabetta, nonostante la sua avanzata età, era incinta di sei mesi, si alzò e si affrettò ad andare nella regione montagnosa a cercare Elisabetta.
Mettendosi al posto di Elisabetta, sapeva che questa aveva bisogno di qualcuno che l’aiutasse in casa. María comprese la sua necessità ed accorse in suo aiuto. María avrebbe fatto di nuovo qualcosa di simile quando influenzò Gesù spingendolo a fare il suo primo miracolo alle nozze di Cana, rendendosi conto che i fidanzati si sarebbero vergognati per la scarsità di vino.
Il testo evangelico di oggi ci racconta precisamente quello che mosse Gesù a rivolgersi alla moltitudine, come seguì la commozione che il suo cuore sentì vedendo le persone come pecore senza pastore e si mise ad insegnar loro. Un modo di capire questo atteggiamento di Gesù e, soprattutto, di poterlo imitare è ricordare l’unità che deve esistere tra la contemplazione e l’azione, tra la fede e la carità, per non limitarci alla realizzazione di qualche eventuale opera umanitaria o generosa che tranquillizzi la nostra coscienza. Come disse Benedetto XVI:
A volte, in realtà, tendiamo a ridurre il termine “carità” alla solidarietà o al semplice aiuto umanitario. Tuttavia, è importante ricordare che la maggiore opera di carità è l’evangelizzazione, che è il “ministero della parola”. Non c’è azione più benefica – e, pertanto, più caritatevole – verso il prossimo che spezzare il pane della parola di Dio, condividere con il prossimo la Buona Notizia del Vangelo, introdurlo nella relazione con Dio: l’evangelizzazione è la più alta e più integrale promozione della persona umana (15 ott 2012).
Questo spiega perché incominciò ad insegnar loro molte cose. Queste molte cose possono riassumersi nell’ultima frase della Seconda Lettura di oggi: Egli è venuto perciò ad annunziare pace a voi che eravate lontani e pace a coloro che erano vicini. Per mezzo di lui possiamo presentarci, gli uni e gli altri, al Padre in un solo Spirito.
In altre parole, imitando Gesù, siamo capaci di soddisfare il nostro Padre celestiale, attraverso l’ispirazione dello Spirito Santo che ci insegna a fare il bene al di là delle nostre capacità, in mezzo al dolore e alle limitazioni, ma permettendoci di vedere la vera priorità del nostro prossimo, che ha diritto ad un’opportunità per manifestare la sua capacità di amare.
Per questo motivo, nella nostra vita mistica, Beatitudine ed Afflizione sono tanto intimamente unite. Sentire che Dio ci chiede una missione umanamente impossibile, vedere il prossimo soffrire fisicamente, emozionalmente e spiritualmente, non poter fare altro che accompagnare in silenzio coloro che soffrono, va unito a quell’impressione beatifica di stare collaborando con Cristo, di avere la certezza che ogni lacrima, ogni goccia di sangue darà il suo frutto.
Gesù era sceso dal cielo per insegnarci la verità su Dio, la verità sull’amore di Dio per noi e, pertanto, la profonda verità su chi siamo e su chi siamo chiamati ad essere.
Per questo motivo, la Prima Lettura è una terribile minaccia per i cattivi pastori, che si approfittano delle pecore, invece di mostrar loro il vero alimento: fare la volontà di Dio. Le moltitudini che seguono e si riuniscono intorno a Gesù, le cure e l’espulsione dei demoni, le alimentazioni miracolose, sono segni che il Figlio di Dio sta pascolando il popolo verso il regno di Dio. Nel secolo venturo, proclama Gesù, molti dei primi saranno gli ultimi, e gli ultimi saranno i primi (Mc 10,31). Quell’era sta irrompendo in questa epoca; noi cerchiamo di vivere qui il regno di Dio, e ora dobbiamo seguire la sovversione di Gesù del potere e della ricchezza mondani. I poveri di spirito, coloro che sono miti e forse non hanno molto talento, sono capaci di amare come i saggi e potenti non lo fecero mai.
Oggi, davanti a tante persone nella nostra cultura, che si sono perse, che non conoscono lo scopo delle loro vite, che spesso vanno da un piacere ad un altro per non affrontare le questioni più fondamentali dell’esistenza, che non sanno la differenza tra il bene e il male, che neanche si rendono conto che ci sono un cielo ed un inferno, per non parlare che le azioni le stanno portando da un luogo all’altro… davanti a tante persone che sono, in effetti, come pecore senza pastore, il grande atto di compassione che Dio vuole da noi è che insegniamo loro su di Lui.
Quella è la vera compassione, anche chiamata misericordia, che muove il cuore di ogni discepolo di Gesù.
Alla presentazione di un libro nel 2001, essendo Cardinale Arcivescovo di Buenos Aires, il futuro Papa Francesco fece un’affermazione sorprendente: Solo chi ha incontrato la misericordia, chi è stato accarezzato dalla tenerezza della misericordia, si sente felice e comodo col Signore ….. Mi azzardo a dire che il luogo privilegiato dell’incontro col Signore è la carezza della misericordia di Gesù Cristo sul mio peccato. È evidente come questa priorità della misericordia sta nel cuore e nell’intenzione di Cristo fin dall’inizio. Se la Chiesa è un ospedale di campagna dopo la battaglia, con le parole di Francesco, deve portare la cura, soprattutto insegnando quella verità liberatrice che le tre Letture di oggi proclamano: Non camminiamo soli, c’è un Pastore che va davanti a noi e ci mostra la strada.