“Di fronte alla critica mordace di una società ipocrita che voltava le spalle alla donna prostituta, questa aristocratica, innamorata di Cristo, accolse le giovani che erano penetrate in quell’oscuro mondo. E’ fondatrice delle Adoratrici del Santissimo Sacramento e della Carità”
Micaela Desmaissières y López de Dicastillo, viscontessa di Jorbalán, fu indicata da Dio per dedicarsi interamente all’educazione di bambine, ed alla restaurazione di donne incappate nelle reti della prostituzione, abbandonando i favori della sua nobile ascendenza. Venne al mondo a Madrid (Spagna) il 1° di gennaio del 1809. E in accordo con la sua grande posizione economica e sociale, si formò nella scuola delle orsoline di Pau, Francia; sua madre aggiunse l’insegnamento di compiti pratici ed utili per la vita quotidiana. Fino alla morte di suo padre che l’obbligò a ritornare in Spagna, e anche dopo, non sembrava essere interessata alla consacrazione. Sua madre le aveva trasmesso la sua pietà, sperimentava una devozione per l’Eucaristia, ma non la chiamata ad una vocazione. Era una donna di grande personalità, distinta, allegra, energica, conciliatrice, buona conversatrice, con alte doti organizzative. Si occupava delle necessità altrui in costanti atti di carità implicando in essi anche persone del suo lignaggio; accoglieva nella sua casa bambine povere ed assisteva i malati.
Non scartava il matrimonio. Di fatto, tra gli altri innamoramenti, uno si stabilì più fermamente nel suo cuore poiché fu fidanzata per tre anni con il figlio di un marchese. Ma una serie di disgrazie incatenate l’indussero a rompere il suo impegno: la morte di suo padre e di un fratello, la grave malattia di una sorella e l’esilio di un’altra… Nel 1841 perdendo sua madre, scelse come tale la Vergine. Vale a dire che nella sua vita si manifestavano due vie che, benché divergenti tra loro, non lasciavano fuorigioco la fiamma dell’amore divino. Tanto a Madrid come a Parigi e Bruxelles continuava a rimanere la traccia della sua carità con gli svantaggiati. Nello stesso tempo sperperava la sua presenza in banchetti, passeggiate, teatro, cenacoli, ballo, ecc. Generalmente accettava gli impegni per compiacere la sua famiglia, ma neppure la disgustavano del tutto. Trovandosi a Parigi nel 1846 si immerse in quel mondo di similoro e vanità; per qualcosa lo denominò “anno perso”. Aveva carattere, ed un forte impulso la dominava. Non nascondeva i suoi attaccamenti, come quello che ebbe per il suo cavallo, ma si sforzava di lottare contro le sue tendenze senza misurare sacrifici, e non si sarebbe tardato a vederne i frutti.
Nel 1847 dopo alcuni esercizi spirituali effettuati a richiesta del confessore di sua madre, il gesuita padre Carasa, si sentì chiamata a compiere la volontà di Dio. Cominciò a dedicare all’orazione cinque/sette ore giornaliere mossa da un affanno di penitenza. Non potendo evitare la sua partecipazione ad eventi sociali, pregava Dio che la preservasse in essi da qualunque peccato, anche se veniale. Sotto gli eleganti vestiti nascondeva cilici. Alla fine di quell’anno ancora vestiva riccamente. Mentre si confessava, il sacerdote percepì lo scricchiolio dei capi d’abbigliamento che portava: “Lei viene troppo vuota a chiedere perdono a Dio”, le disse. “Sono le gonne”, rispose. “Dunque, le tolga!”. Si vestì come uno sgorbio, tanto che il presbitero la sollecitò a non arrivare a quell’estremo; unicamente doveva limitarsi a vestire senza far rumore.
Nel 1848 il padre Carasa fu la causa di un’altra esperienza che avrebbe segnato la sua vita. Le presentò una persona di sua fiducia, María Ignacia Rico de Grande che la portò in visita all’ospedale di San Juan de Dios. Lì notò costernata la quantità di giovani che esercitavano la prostituzione, alla quale erano arrivate per distinti motivi. Dovette vincere la ripugnanza che sentiva davanti ai segni che l’esercizio di quell’attività aveva lasciato nei loro corpi macerati. Seppe che, se terribile era il loro stato fisico, non lo era sicuramente meno la solitudine e l’abbandono che le aspettava uscendo dall’ospedale in una società ipocrita che le aveva spinte su quella strada, strappando loro onore e dignità, e poi voltava loro crudelmente le spalle. Fu così che aprì una casa per le povere sviate che andò raccogliendo.
Nel 1850 andò a vivere con loro. La notizia fu una frustata per i circoli nei quali si muoveva. Le chiusero le porte, fu vituperata, incompresa, calunniata, non solo per quelli che facevano parte dello scelto ambiente al quale apparteneva; fu anche criticata e perseguitata da membri della Chiesa. Le ritirarono perfino il permesso per tenere il Santissimo Sacramento, chiave della sua vita e attività. Alcune delle ragazze che aveva accolto ed altre persone l’accusarono senza fondamento, dando ali a mormorazioni e pettegolezzi diversi. Il padre Carasa le negò il saluto. Non si difese; si limitò a pregare e a ringraziare Dio. Fu minacciata da alcuni protettori, che la volevano perfino uccidere. Niente la fermò. Vendette i gioielli ereditati ad un prezzo minore di quello che valevano, si staccò dal suo cavallo, chiese l’elemosina, e non si fermò davanti a nulla, come normalmente si dice, per portare avanti la sua opera. Nel 1854 ricevette aiuto economico dalla beneficenza. Due anni più tardi, con l’appoggio e il consiglio di sant’Antonio María Claret, nacque la fondazione e prese il nome di Madre Sacramento. Mise nelle sue case questa consegna: “La mia provvidenza e la tua fede manterranno la casa in piedi”.
Il padre Claret l’aiutò relativamente alle costituzioni e sotto la sua difesa crebbe progressivamente la sua vita spirituale; altri direttori spirituali precedenti non l’avevano compresa. Emise i suoi primi voti nel 1859, e cominciò l’espansione dell’opera in mezzo a molte difficoltà esterne ed interne. “Io dubito che ci sia una superiora più accusata, più calunniata, più rimproverata”, riconobbe. Nel giugno del 1860 professò i voti perpetui. Quando il colera assalì di nuovo la Spagna, nel 1865 si trovava a Valencia, ed ebbe l’impressione che era arrivata la sua ora. Era andata, come in altre occasioni, ad assistere e consolare quelli che avevano contratto la malattia in epidemie simili. Allora ne uscì indenne, ma quell’anno la malattia si accanì anche contro di lei, causandole la morte il 24 agosto.
Pio XI la beatificò il 7 Luglio 1925 e la canonizzò il 4 marzo 1934.
© Isabel Orellana Vilches, 2018
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