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Santo

San Jean-Theophane Venard, 2 febbraio

By 1 Febbraio, 2024Aprile 17th, 2024No Comments

«“Theophane apprese a sublimare l’ordinario per convertirlo in straordinario. Fu per questo un riferimento inequivocabile per Teresa di Lisieux. Ella vide nel giovane una persona senza apparente brillantezza, che tuttavia, conquistò la santità”.»

Le ali dell’indecisione sono le paure. I santi le troncano. La dottoressa dell’infanzia spirituale, Teresa di Lisieux, che si era proposta di rendere soprannaturale l’ordinario, addentrandosi con passo fermo in questo sentiero della perfezione, fu colpita oltremodo dal gesto coraggioso di un bambino che ebbe chiaro, a 9 anni, che voleva essere martire, determinazione che mantenne fino alla fine. Era Théophane la cui festività la Chiesa celebra insieme a quella di altri santi e beati in questo giorno della Presentazione del Signore. E quello che richiamò specialmente l’attenzione della santa leggendo la sua vita, fu che, a differenza di Luigi Gonzaga – anche di lui conosceva la vita – che era stato un prodigio di virtù, Théophane incarnava quella persona che, senza brillantezza speciale alcuna, almeno in apparenza, raggiunge la santità. Si sentiva concorde con lui e volle emularlo partendo per le missioni. Non potendoci andare, nella sua clausura si offrì per questi missionari.

Théophane nacque a Saint-Loup-sur-Thouet (Francia) il 21 febbraio 1829. Di famiglia credente che l’accompagnò spiritualmente e l’appoggiò nella sua vocazione, a quell’età nella quale i bambini fanno dei giochi la loro principale occupazione, egli centrava già i suoi occhi scrutatori su tutto quello che avesse a che vedere con la fede. In particolare lo commuovevano le notizie che gli “Annali della Propagazione della Fede” portavano delle missioni, mentre pascolava un gregge insieme a sua sorella Melania. La sua tenera psicologia non rimase danneggiata dai crudeli martirii che conobbe attraverso questo mezzo. Al contrario, instillò  nel suo animo il desiderio di spargere il suo sangue per Cristo: “Anche io voglio andare nel Tonchino, anche io voglio essere un martire!”. Dopo una prima tappa accademica, entrò nel seminario di Montmorillon e proseguì gli studi nel seminario maggiore di Poitiers. Quindi si incardinò nella Società delle Missioni Straniere di Parigi col consenso del suo vescovo e la previa autorizzazione di suo padre che, anche se con dolore, non dubitò di staccarsi dal figlio che amava in modo singolare, prestandogli incondizionato appoggio: “Se senti la chiamata di Dio, cosa che non dubito, obbedisci senza vacillare. Che niente ti trattenga! neanche l’idea di lasciare un padre afflitto”.

In quell’epoca Théophane era cambiato radicalmente. Quando era collegiale non aveva un carattere modello; piuttosto cedeva facilmente alla contrarietà predominando in certi momenti la sua tendenza all’ira, mentre esibiva qualche forma di rudezza nei gesti. L’oscillazione che soffriva la sua condotta evidenziava una mancanza di maturità, e ciò, unito alla sua facilità per la replica, suscitava la preoccupazione dei professori che lo rimproveravano. Dopo, egli stesso notò l’urgenza della sua conversione. Si abituò a pregare il rosario completo, faceva orazione, si impegnava nella donazione quotidiana, e andò compiendo passi verso la perfezione senza neppure rendersene conto.

La morte di sua madre che avvenne quando aveva 13 anni, lo trovò disposto ad affrontare con fortezza quella difficile separazione: “Rivestiamoci dello scudo della fede in questa occasione; ricorriamo alla religione, perché ella sola può consolarci nelle nostre pene… E credo potervi assicurare che la nostra buona madre sta nel cielo”. Sembravano le parole di una persona adulta più che di un adolescente. Ciò mostra il passo spirituale che aveva dato. Dopo, nel seminario si era caratterizzato, soprattutto, per la sua allegria: È necessario coraggio nella vita”. “Nonostante tutto: Viva l’allegria! “.     

Nel Seminario delle Missioni Straniere di Parigi gli affidarono la schola, dove godeva del canto gregoriano per il quale sentiva predilezione. Quando stava per essere ordinato si ammalò. Raccomandandosi alla Vergine superò un momento critico rivestito di una certa serietà, ma lasciò il suo organismo minato per sempre. Nel 1851 ricevette il sacerdozio, e l’anno seguente si imbarcò per Hong Kong. Nel 1854 si trovava nel suo desiderato destino: Tonchino, luogo che considerava “la strada più breve per andare al cielo”. Prima di arrivare sapeva già che la sua vita correva pericolo. Per sei anni sviluppò la sua missione apostolica nell’ombra, in mezzo a numerosi contrattempi, senza avere una dimora fissa, e sopportando problemi di salute, come un’asma persistente che l’esauriva. Lo studio della lingua si era fatto difficile e così lo riconosceva, ma sapeva che era un strumento necessario per potere evangelizzare. Tradusse perfino due libri del Nuovo Testamento.

Era una persona realistica e valorosa che diede prove di una forza poco comune quando dopo essere stato catturato alla fine di novembre del 1860 rimase prigioniero in una minuscola ed oppressiva gabbia di bambù. Nella gabbia fu condotto ad Hanoi dove fu condannato a morte. Si liberò di tanto inumana reclusione solo quando fu giustiziato. Due lunghi ed intensi mesi che gli servirono per tracciare anche nella storia quelle linee magistrali della santità che siglano la grandezza di un essere umano, contrapposto alla barbarie di altri esseri umani. Lontano da questa schiavitù atrocemente imposta, ogni giorno conquistava palmo a palmo quella dimora che l’aspettava nella vita eterna. Portava avanti un appassionato lavoro evangelizzatore, ed in essa includeva una corrispondenza epistolare di grande ricchezza. Teresa di Lisieux, conoscendola, dedicò la sua preghiera alle missioni.

Gioiosamente aspettò la sua morte credendo che un solo colpo ben dato sarebbe bastato a troncare l’ultimo anello che lo separava dalla gloria, e così lo comunicò per lettera a suo padre: “Una leggera sciabolata separerà la mia testa, come un fiore primaverile che il padrone del giardino prende per il suo piacere”. Si sbagliava. Il 2 febbraio 1861 dopo essersi rifiutato di calpestare la croce di Cristo, una guardia ubriaca dovette assestargli niente meno che cinque colpi di spada per completare la decapitazione.

Pio X lo beatificò il 2 maggio 1909, e Giovanni Paolo II lo canonizzò il 19 giugno 1988.

 

© Isabel Orellana Vilches, 2018
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