di p. Luis CASASUS, Superiore Generale dei missionari Identes.
Madrid, 30 agosto 2020 | XXII Denica Tempo Ord.
Geremia 20, 7-9; Lettera Romani 12, 1-2; San Matteo 16, 21-27
In una prigione per prigionieri politici vicino a Mosca, durante l’era di Stalin, Ivan, un prigioniero, fisico ed esperto in Ottica, si sedette di fronte al governatore della prigione ed al generale dell’esercito. Ivan seppe immediatamente che volevano qualcosa di lui. Desidera un indulto? gli domandarono. Che cosa devo fare? Qual è il progetto? domandò. Vogliamo che perfezioni una macchina fotografica che funzioni nell’oscurità, ed un’altra in miniatura che si possa collocare nello stipite della porta, e che funzioni quando si apre la porta.
Ivan era forse l’unica persona in tutta la Russia che poteva elaborare un progetto per questi dispositivi. Dopo 17 anni in prigione, l’idea di ritornare a casa l’attraeva. Qui sicuramente c’era la risposta alle preghiere di sua moglie Natasha. Tutto quello che doveva fare era inventare un dispositivo che avrebbe messo alcuni infelici sprovveduti dietro le grate al suo posto, ed egli sarebbe tornato libero.
Non potrei continuare a lavorare in televisione come faccio ora? domandò. Vuole dire che si rifiuta? domandò il generale. Ivan pensò: Chi mi ringrazierebbe? Valeva la pena salvare quella gente? Natasha era la sua compagna di tutta la vita; l’aveva atteso per 17 anni…. non potrei farlo, disse alla fine. Ma lei è l’uomo giusto per questo lavoro, disse il generale. Le daremo tempo affinché si decida.
Non lo farò. Mettere la gente in prigione per il modo di pensare non è il mio stile. Questa è la mia risposta finale. Ivan sapeva quello che il suo “no” significava. Alcuni giorni dopo era già sul treno per la Siberia per lavorare nelle miniere di rame dove l’aspettavano razioni da fame e probabilmente la morte. Tuttavia, era in pace con se stesso. Gesù parla di perdere la vita, ma parla anche di guadagnarla. Questa morte per se stesso è, di fatto, l’entrata in una vita superiore. È la morte per causa della vita.
Non tutti i seguaci di Cristo devono dare le loro vite con spargimento di sangue, ma tutti siamo continuamente chiamati a darla esplicitamente e con violenza interiore nel rinnegamento, che è una componente essenziale e profonda del nostro sforzo ascetico.
La migliore espressione dell’offerta della vita è il Rinnegamento dell’io. Questo non è stato determinato da nessun teologo o Papa. È lo stesso Cristo, nelle sue parole di oggi, che ci dice: Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso.
Possiamo capire meglio queste parole di Gesù se guardiamo le reazioni degli esseri umani davanti alle maggiori difficoltà che troviamo nella vita: la morte, il dolore degli esseri cari, il tradimento, le divisioni…
Il primo è il cammino della negazione. Questo fu l’atteggiamento di Geremia. Fare la volontà di Dio era troppo per lui. Sorgono differenze, malintesi e opposizioni; i conflitti col re e le autorità religiose esplodono. Perfino il popolo, arrabbiato e deluso, chiede al profeta di restare in silenzio. I suoi nemici dichiarati raccolgono prove contro di lui e lo fanno arrestare. Lo picchiano e lo sottopongono ad un processo nel quale, per fortuna per lui, sarà assolto. In quel momento di profonda angoscia, cercò di fuggire: «Non penserò più a lui, non parlerò più in suo nome!».
Ma aprì il suo cuore e riconobbe che rifiutarsi di ascoltare Dio sarebbe stata la sua morte. Come succede a qualcuno che ha sperimentato un affetto irresistibile, Geremia non riesce a liberarsi del Signore che l’ha sedotto. La passione arde nel suo cuore come un fuoco impossibile da spegnere. Nonostante l’insopportabile dolore e la delusione che soffre, non può abbandonare la sua missione. La negazione fu solo un tentativo inutile di scappare dalla realtà più potente, i piani divini.
In maggiore o minore grado, tutti noi abbiamo avuto questo atteggiamento:
– facendo orecchie da mercante ad una raccomandazione che viene fatta a me o che io stesso sento nell’orazione,
– cercando una scusa nella mancanza di capacità o di tempo per non portare a termine un compito,
– abbandonando completamente la mia vocazione con argomenti potenti, per esempio, dicendo che “non sono adatto per quello” o che “i miei fratelli mi rendono il cammino impossibile”.
La seconda reazione è la via della manipolazione. Questo fu il caso di Pietro nella narrazione del Vangelo di oggi. Non poteva accettare che Gesù, colui che prima aveva riconosciuto essere il Cristo, soffrisse anche la passione e la morte. Questo non può succedere a te. Pietro non poteva accettare questa verità. Dobbiamo cambiare il corso degli avvenimenti. Dobbiamo cambiare perfino il piano divino. Questa è la maniera di manipolare, prendere le cose nelle nostre mani.
Così è come reagiamo anche noi.
– Giudicando da noi stessi l’importanza di qualcosa che viene da Dio. Forse non è tanto importante… forse può aspettare…. non credo che sia pericoloso per me se continuo ad essere come sono.
– Pensare alle buone azioni che faccio e così togliere priorità a quello che è la volontà di Dio per me. Chiamerò questa persona quando avrò più tempo per pensare a cosa dirgli…. la mia dedicazione è già maggiore di quella degli altri, sicuramente Dio mi capisce…. la mia buona volontà compensa qualunque altra cosa.
Ora vediamo che la negazione e la manipolazione della verità sono distruttive per la vita. È in questo contesto che Cristo ci dà il suo consiglio, veramente adeguato alla nostra natura e al nostro destino: Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà.
Sì, per trovare la vita, è necessario perderla. Io offro la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso (Gv 10, 17-18). Non importa quanto grandi siano le nostre attività, quanto felici ci facciano, o quanta ammirazione causino negli altri. Arriverà il giorno in cui ci verranno “strappate” per la legge naturale dell’esistenza umana, perché in questo mondo non possiamo avere né pienezza, né sicurezza assoluta.
Può succedere che dobbiamo passare per tutte le tappe psicologiche di rifiuto, ira, risentimento, negoziazione. Ma sia quello che sia, quanto prima arriveremo alla tappa di accettazione, meglio per noi. Fuggire dalla realtà o dalla volontà di Dio non può portarci la vera felicità.
Il Rinnegamento dell’io ci rende liberi della dittatura dei nostri giudizi, dei nostri desideri e del potente istinto di felicità.
È certo che ci sono persone che sono totalmente attaccate ai loro giudizi e opinioni, persone con le quali non è possibile dialogare e che considerano che gli altri mancano della sensibilità o dell’esperienza necessarie per avere un’opinione valida.
Ci sono anche uomini e donne che utilizzano ogni tipo di giustificazioni per realizzare i loro desideri che spesso sembrano artificiali e capricciosi per gli altri. Questo è particolarmente critico nel caso di coloro che hanno funzioni di leadership e responsabilità verso altre persone. Una delle conseguenze dell’attaccamento ai desideri è, in questi casi, che quelli che li circondano si trasformano in domestici silenziosi, afflitti… e con un sorriso forzato.
In questo modo potente, il nostro ego ci separa da Dio e dal prossimo, per questo l’orazione unitiva centra i suoi sforzi nel liberarsi da questa influenza negativa.
L’attaccamento ai nostri giudizi è comune. Ma, soprattutto, quando questi giudizi riguardano la vita morale di un’altra persona, i risultati sono particolarmente dannosi. La seguente storia mostra come questo attaccamento ci separa dal prossimo e da Dio.
Il poeta italiano medievale Dante Alighieri assisteva ad un servizio religioso. Dante era profondamente immerso nella meditazione e non si inginocchiò nel momento previsto. I suoi nemici si affrettarono ad andare dal vescovo esigendo che Dante fosse punito per il suo sacrilegio. Dante si difese dicendo: “Se quelli che mi accusano avessero avuto gli occhi e la mente in Dio, come me, anch’essi avrebbero smesso di notare gli eventi intorno a loro, e certamente non avrebbero notato quello che io stavo facendo”.
Temiamo la Croce perché annulla quello che realmente amiamo: l’ego che c’è in me. Gesù giustifica la sua scelta di paragonarsi ad un seme: Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. (Gv 12, 24). E possiamo anche dire, con lo stesso Cristo, che è un frutto duraturo ed imperituro che va molto oltre la nostra breve vita ed arriva alle persone in una maniera inimmaginabile. Solo nel cielo potremo vedere questa realtà in tutta la sua pienezza. Per guadagnare la nostra vita “bisogna perderla”. È necessario spenderla per i fratelli e le sorelle.
Le Letture della liturgia di oggi sono tutte dello stesso tipo. In modi diversi dicono tutte la stessa cosa. Non si può resistere alla chiamata di Dio, se non al prezzo di non essere fedeli all’io più profondo, quell’io che è in sintonia con ciò che Dio vuole. Si deve confidare assolutamente in Dio ed in suo Figlio Gesù Cristo. Non importa quello che il mondo dica e definisca ridicolo, il credente deve mantenere questa fiducia assoluta. Dio sarà al suo fianco. Seguendo Cristo, il cristiano erediterà la vita eterna con Lui. Dobbiamo essere sempre coscienti di questa verità basilare ed offrirci a Dio in piena fiducia.
Nelle nostre culture attuali, dove c’è tanto anelito e si parla di benessere e della ricerca della felicità, questo istinto di felicità trova un terreno fecondo. Tuttavia, vediamo quello che dice il nostro Padre Fondatore:
Noi non dobbiamo cercare la felicità, è qualcosa dal quale siamo meravigliosamente dispensati. La felicità devono cercarla coloro che in qualche modo si allontanano da Cristo, sia in modo colpevole, nel senso formale e stretto della parola, sia per un’irresponsabilità generale del mondo, e specialmente dei cristiani, di coloro che dovrebbero essere gli apostoli autentici e consacrare la loro vita, tutti ed ognuno dei momenti della loro esistenza, a stare convertendo il loro spirito, a convertire tutti con l’amore del loro spirito (29 giugno 1972).
È importante ricordare che gli istinti sono qualcosa che condividiamo con gli animali. Una definizione generalmente accettata di istinto è la tendenza di un organismo a dare una risposta complessa e specifica agli stimoli ambientali senza implicare una ragione. La chiave qui è “senza coinvolgere la ragione”. Inoltre, diremmo che neanche la fede interviene nelle reazioni istintive o “automatiche”, come dicono alcuni.
La volontà di ottenere gratificazioni, riconoscimenti e benefici sarà sempre presente. Perfino nei più puri atti di amore ci sono spesso alcune forme velate di egoismo ed ambizione. Nel Vangelo di oggi, il ruolo dell’istinto di felicità è incarnato dal sentimentale, buono e santo Pietro. Ora però si trasforma in un ostacolo perché si lascia guidare dal ragionamento umano. Aspira ad una gloria, ad alcuni successi e alcuni onori che sono ostacoli nel cammino del Maestro e dei suoi discepoli.
Coi problemi che mi circondano e la mia mancanza di fede, un mucchio di cose orribili potrebbero succedere, esigendo una risposta, un nuovo sforzo. Ecco che allora si trasforma in un fuoco ardente nel mio cuore, chiuso nelle mie ossa; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo. (Geremia 20, 9).
Nelle nostre sofferenze noi tendiamo anche a vedere le situazioni da una prospettiva stretta, superficiale e miope. Si tratta di vedere che il nostro modo di pensare è un ostacolo per il piano di Dio, ed è anche, contemporaneamente, un ostacolo per la nostra felicità. Possiamo solo arrenderci con gioia al piano di Dio quando modelliamo il nostro pensiero, la nostra prospettiva e pertanto il nostro comportamento o vita con quella di Dio, allora saremo, come diceva Gesù, ricompensati, con una vita che il mondo non può dare, con una pace ed un’allegria che possono essere nostri già da ora.
Tre imperativi caratterizzano la radicalità di una scelta che non ammette ritardi né secondi fini: Rinnegati, prendi la tua croce, seguimi. E ricordando sempre che non si tratta di azioni occasionali, di qualcosa che facciamo nei momenti difficili, bensì di uno stato, di quello che chiamiamo orazione continua.