di p. Luis Casasús, Superiore Generale dei missionari Identes
Madrid, 5 maggio 2019. Terza domenica di Pasqua
At 5,27b-32.40b-41; Ap 5, 11-14; Gv 21, 1-19
1.Qualche volta sei stato a pescare tutta la notte… senza riuscire a pescare nulla? Probabilmente, tutti abbiamo avuto qualche esperienza dolorosa, qualche sensazione di fallimento personale nella nostra vita spirituale o apostolica e ci chiediamo che cosa non abbiamo fatto bene e che cosa possiamo fare ora. Forse è stato in un’attività concreta, o dopo aver fatto uno sforzo sincero per aiutare una persona, o semplicemente dopo aver cercato di modificare qualche aspetto del mio comportamento personale. Il Papa San Giovanni Paolo II ci esortava così:
…… C’è una tentazione che da sempre insidia ogni cammino spirituale e la stessa azione pastorale: quella di pensare che i risultati dipendano dalla nostra capacità di fare e di programmare. Certo, Iddio ci chiede una reale collaborazione alla sua grazia, e dunque ci invita ad investire, nel nostro servizio alla causa del Regno, tutte le nostre risorse di intelligenza e di operatività. Ma guai a dimenticare che « senza Cristo non possiamo far nulla » (cfr. Gv 15,5). La preghiera ci fa vivere appunto in questa verità. Essa ci ricorda costantemente il primato di Cristo e, in rapporto a lui, il primato della vita interiore e della santità. Quando questo principio non è rispettato, c’è da meravigliarsi se i progetti pastorali vanno incontro al fallimento e lasciano nell’animo un avvilente senso di frustrazione? Facciamo allora l’esperienza dei discepoli nell’episodio evangelico della pesca miracolosa: «Abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla » (Lc 5,5)….. (NMI, Novo Millennio ineunte 38).
Presto o tardi ci rendiamo conto che ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini. (1Cor 1, 25). E questa scoperta avviene, generalmente, attraverso un’esperienza dolorosa, come il pescare tutta la notte senza prendere nulla. Perfino in un contesto non proprio evangelico, Michael Jordan, l’iconico giocatore di pallacanestro, disse: Non si può essere un gran vincitore senza sperimentare lotte e sconfitte. La forma in cui utilizzi le tue sconfitte dice tutto su chi sei tu.
Forse una delle esperienze più dolorose è vedere come molti di coloro che camminano con te abbandonano il cammino, attirati dalle tentazioni di questo mondo, asfissiati dalle difficoltà o vittime della paura, come spiega Cristo nella parabola del seminatore. Quello è anche ciò che San Paolo scrive a Timoteo: Tu sai che tutti quelli dell’Asia, tra i quali Fìgelo ed Ermègene, mi hanno abbandonato (2Tim 1, 15).
2. Quali sono i segni, gli indicatori che lo Spirito Santo sta realmente facendo uso della nostra sofferenza per purificarci ed attirarci a Lui?
* In primo luogo, queste esperienze producono sempre uno stato di coscienza della nostra peccaminosità.
Se quello che sentiamo è una specie di autocompiacimento e superiorità spirituale sugli altri, probabilmente è un segno che non abbiamo visto Dio, né l’abbiamo mai conosciuto, al contrario avremmo visto la verità su noi stessi: sono un peccatore, come tutta l’umanità, davanti a Lui. E tuttavia sono amato incondizionatamente da Lui.
San Pietro ebbe questa reazione quando incontrò il potere e la santità di Cristo. Pensò che sapeva meglio si Gesù dove fare una buona pesca. Fu con renitenza che obbedì a Cristo gettando le reti, forse solo per dimostrargli che stava sbagliando. Quando Pietro vide la grande pesca che riempì le due scialuppe fino quasi ad affondare, cadde in ginocchio davanti a Gesù dicendo: Allontanati da me, Signore; sono un uomo peccatore. Chiunque si trovi davanti alla santità di Dio e alla sua gloria si sentirà molto indegno e vergognoso.
* In secondo luogo, il riconoscimento del nostro peccato è accompagnato dalla gratitudine e da una gioiosa accoglienza del perdono di Dio. La Seconda Lettura è un cantico entusiasta di gratitudine: «L’Agnello che fu immolato è degno di ricevere potenza e ricchezza, sapienza e forza, onore, gloria e benedizione».
La nostra coscienza umile del peccato è seguita immediatamente dalla coscienza e dalla accoglienza attiva del perdono di Dio. Cristo ripeté a Pietro: Non avere paura!
Quell’esperienza fu descritta anche da San Paolo quando scrive a Timoteo: Rendo grazie a colui che mi ha dato la forza, Cristo Gesù Signore nostro, perché mi ha giudicato degno di fiducia chiamandomi al ministero: io che per l’innanzi ero stato un bestemmiatore, un persecutore e un violento. Ma mi è stata usata misericordia, perché agivo senza saperlo, lontano dalla fede; così la grazia del Signore nostro ha sovrabbondato insieme alla fede e alla carità che è in Cristo Gesù. Questa parola è sicura e degna di essere da tutti accolta: Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori e di questi il primo sono io. (1Tm 1, 12-15).
Se riceviamo la Sua infinita ed immeritata misericordia, saremo tanto grati come Pietro, non avremo altro che gratitudine perché sappiamo che quello che siamo oggi, quello che abbiamo e quello che facciamo, non è semplicemente il risultato dei nostri sforzi, bensì essenzialmente dono di Dio. Questo è il sentimento che gli apostoli hanno nella Prima Lettura di oggi: È lo Spirito Santo quello che Dio ha dato a coloro che si sottomettono a Lui.
* Infine una conseguenza dell’intensa esperienza della misericordia di Dio è la chiamata a servirlo e la nostra risposta immediata a quella chiamata: Da ora in poi, sarai pescatore di uomini. La cosa più sorprendente è che Dio ci ha scelti nonostante la nostra indegnità ed il nostro peccato.
Se siamo coscienti della misericordia e del perdono di Dio nelle nostre vite, immediatamente vorremmo essere apostoli della misericordia e dell’amore, messaggeri della Buona Novella per tutta l’umanità. Pertanto, se non sentiamo il desiderio di estendere il suo amore e la sua misericordia, significa che abbiamo dimenticato il nostro incontro con Lui, oppure che non siamo stati mai coscienti di un’esperienza radicale del Suo amore.
È per questo motivo che ci fidiamo solo della nostra conoscenza intellettuale o di un atto della nostra volontà, il che ovviamente non garantisce la nostra perseveranza. Che cosa è quello che conferma Pietro come apostolo? Che cosa ci sostiene come apostoli? Solo una cosa: che abbiamo ricevuto misericordia (1 Tm 1, 12-16).
In spirito di orazione e impegno dobbiamo ascoltare attentamente le parole: Ecco, sto alla porta e busso (Ap 3, 20). Dio ci guarda attentamente, ed approfitta di qualunque opportunità. Pensiamo a quei pescatori, in un momento Dio entra in noi e prima che te ne renda conto, sei un apostolo, un discepolo, un profeta, che doni la tua vita ai tuoi fratelli e a Lui.
Un reporter domandò al famoso milionario John D. Rockefeller quale quantità di denaro fosse necessaria per farlo felice, e rispose: Mi basta un dollaro di più. Niente su questa Terra ci arriva a soddisfare. Ma se lo domandi a qualcuno che ha fatto di Gesù il Signore della sua vita, ti dirà che è stato benedetto al di là di quello che avrebbe potuto chiedere o immaginare. Una vita lontani da Cristo ci lascerà sempre vuoti, ma una vita centrata in Lui è piena e feconda.
Una vita di servizio è esigente, ma realmente vale la pena: Dopo avere conosciuto la sapienza ed il potere divini di Cristo, Pietro ed i suoi compagni di lavoro non seguirono più i loro ragionamenti e le loro conoscenze intellettuali; ma lasciarono tutto e seguirono Gesù. Diventarono coscienti che i loro sforzi umili avrebbero dato frutti esattamente quando, dove e come lo Spirito Santo avrebbe determinato. Senza un incontro personale radicale con il Signore. e la rinnovazione di quell’incontro, la nostra fede sarà debole. In realtà, alcuni di noi non ci rendiamo conto che questo incontro non è temporaneo, bensì permanente. Questo spiega perché abbiamo mancanza di entusiasmo, convinzione ed allegria nel proclamare la Buona Notizia.
Con le parole del Papa Francesco:
Il miracolo più grande compiuto da Gesù per Simone e gli altri pescatori delusi e stanchi non è tanto la rete piena di pesci e quanto di averli aiutati a non cadere vittime della delusione e dello scoraggiamento di fronte alle sconfitte. E aperti a diventare annunciatori e testimoni della sua parola e del regno di Dio. La risposta dei discepoli è stata pronta e totale: “Portarono a terra le barche e lasciando tutto lo seguirono” (Angelus, 10 Feb 2019).
3. Pasci i miei agnelli. Pasci le mie pecore. Seguimi.
Questo mandato suona come qualcosa di meraviglioso ed idealistico, ascoltandolo vicino ad un fuoco caldo sulla spiaggia, ma risulta molto più esigente quando nella pratica sei in contatto con le pecore. Essere in relazione con Gesù significa che dobbiamo amare le sue pecore, perfino quando le pecore non sono particolarmente adorabili. Come ami la pecora che ti da sui nervi, o la pecora che è sempre bisognosa, o la pecora che ha rotto la sua promessa? Ricordiamo anche che Gesù le chiama per nome. Non sono le tue pecore; sono le pecore di Cristo.
Pertanto, dobbiamo realizzare ogni tipo di sforzi per seminare la tenerezza e la sensibilità, in primo luogo, e specialmente tra i più vicini a noi:
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Io vi animerei a che facciate in tal modo la vostra orazione, che si riduca ad un sentimento di focolare. Già vi ho detto che dovete essere veramente fratelli e sorelle, trattarvi con meraviglioso rispetto e cura. Dovete risvegliare nella vostra vita religiosa, ogni giorno, nei vostri cuori, questo sentimento di focolare, questo affetto familiare, questa tenerezza intima.
Trasmettevi anche tra di voi questa grazia in modo tale che, parlandovi mutuamente, qualsiasi sia il modo – devoto, religioso, o mistico -, deve essere non con pusillanimità, con sentimento artritico, bensì con quel sentimento che risponde ad una realtà di riferimento, che è il cielo stesso alla cui testa si trova la Santissima Trinità (Il Nostro padre Fondatore. Nel Cuore del Padre cap. 4, 1)
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Il seguire Cristo ci spinge a fare quello che forse non vogliamo fare. L’amore portò Pietro sulla croce. Quando sarai vecchio, stenderai le tue mani e un altro ti cingerà, e ti porterà dove non vorrai, è un riferimento allo stiramento delle braccia nel patibulum, il braccio orizzontale della croce romana.
Cristo si trova coi pescatori quando hanno bisogno di aiuto e li aiuta in un modo inaspettato. Quei pescatori si sarebbero accontentati con un cesto di pesci da vendere al mercato, ma ora le loro reti si stavano rompendo e stavano lavorando più duramente che mai per restare a galla. Come i pescatori, chiediamo un po’ di aiuto e, a volte, ci vediamo oppressi dal risultato: Dio stesso ci chiede aiuto attraverso la sofferenza ed i sogni del nostro prossimo!
L’amore di Dio è più grande di quello che possiamo immaginare. In realtà, Gesù viene a noi quando abbiamo bisogno di aiuto, attraverso le esperienze con la sua Parola, l’Eucaristia, alcune persone che troviamo sul nostro cammino… e specialmente con la sua chiamata dopo una notte infruttuosa. Questo aiuto non può procurare il risultato che stavamo cercando; durante il cammino dobbiamo essere preparati alle sorprese. Sì, Egli permette che le cose più piccole, apparentemente insignificanti, diventino più grandi di qualunque cosa che avremmo potuto immaginare.
San Pietro cooperò con la grazia di Dio gettando le reti. Quando cooperiamo con la sua grazia come gli apostoli, Egli rende visibile la Sua gloria e il Suo potere nella nostra debolezza.
Come possiamo cooperare con la Sua grazia e non permettere che la grazia di Dio che ci è stata data sia ricevuta invano?
In primo luogo, semplicemente non gettando le reti sul lato sinistro della barca. Cioè, non prendendo iniziative che non abbiano niente a che vedere col Regno dei Cieli. Poi, essendo coscienti che stiamo sempre alimentando un gregge; dobbiamo scegliere necessariamente: alimentare i Suoi agnelli o alimentare le nostre capre pazze; nutrire la salute spirituale dei nostri simili o alimentare i nostri istinti. La chiave è riconoscere che non possiamo evitare questo provocatorio dilemma pastorale.